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Il foglio sportivo

Ecco perché la Premier vale il doppio della Serie A. Parla Paolo Di Canio 

Roberto Gotta

“Infrastrutture, spettacolo, grandezza degli interpreti: è anche tre-quattro volte più forte degli altri campionati”, dice l'ex attaccante, che ha allenato anche in Inghilterra

Martin Samuel, sul Times, l’aveva calcolato subito, con un esempio terra terra: se tu prendessi lo stesso stipendio lavorando sette giorni su sette, e non cinque, di fatto subiresti un taglio del 28,5 per cento. Più o meno il discorso che si può fare sul nuovo contratto televisivo che la Premier League ha siglato, per il Regno Unito, con Sky e Tnt, per il periodo 2025-29: i numeri complessivi fanno impressione, con quattro anni a 6,7 miliardi di sterline, 7,8 miliardi di euro, e dunque un aumento rispetto all’accordo precedente, 2018-21, che era di 5, prolungato senza asta pubblica per via dei disagi della pandemia, ma cresce drasticamente il numero di partite trasmesse, un minimo di 215 su Sky e 52 su Tnt, e quindi il valore che la lega ottiene da ogni partita è sceso, in media. E non di poco: da 10,17 a 6,29 milioni. Di fatto, dunque, per la prima volta saranno trasmesse in diretta tutte le gare previste al di fuori dalla fascia di due ore e mezza, dalle 14.45 alle 16.15 locali del sabato, nella quale, sfruttando l’articolo 48 dello statuto Uefa, sul territorio britannico non si potranno vedere in diretta partite di alcun campionato, nemmeno straniero, per proteggere le abitudini da stadio e soprattutto le serie minori. Anche se, per paradosso, l’Inghilterra è una delle nazioni europee in cui minore è, in città in cui siano presenti altre squadre professionistiche, la presenza di tifosi di grandi club, quelli che in teoria potrebbero, con le loro dirette, sottrarre gente agli stadi. 

 

Quello siglato in settimana è dunque un contratto che colpisce per i numeri assoluti, un po’ meno per quelli relativi, ma è stato naturale, immediato e anche logico fare paragoni con il recente accordo tra Serie A e Dazn più Sky: cinque anni, 4,5 miliardi di euro, media annuale che è di circa 900 milioni quindi la metà di quella della Premier League. Detta così, è una differenza impietosa. “Ah, solo il doppio? – commenta Paolo Di Canio, che la Premier League per Sky Italia la commenta dopo averci giocato, allenato e creato momenti che lo rendono tuttora molto popolare anche tra i tifosi – Io avrei detto 4-5 volte di più, che è la vera differenza per tutto quello che  rappresenta la Premier League in confronto alla Serie A. Solo le infrastrutture, lo spettacolo, come viene divulgato, la grandezza degli allenatori e dei giocatori, così forti… ecco tutto questo mi avrebbe fatto pensare ad uno scarto maggiore, e non solo nei confronti della Serie A”. 

 

La crescita assoluta e la contrazione media degli introiti non modificano la forza sovrastante della Premier League, alle prese ormai da inizio secolo, dalla svolta impressa dall’arrivo di Roman Abramovich al Chelsea, con un processo di costante equilibrismo tra la spietata caccia al denaro e la necessità di mantenere un’identità locale o perlomeno nazionale, quella che possa attirare i telespettatori, l’anziano che va allo stadio con coppola e sciarpetta così come il giovane cresciuto senza nemmeno immaginare che un tempo l’intervallo durava 10 e non 15 minuti, abituati ormai da un paio di decenni a vedere in campo e in panchina più protagonisti stranieri che inglesi, ma non del tutto disposti a veder tramutato il loro campionato in una passerella apolide. Quella magari che la Premier League ha confezionato per l’estero, dove non per nulla la cessione dei diritti televisivi ha fruttato più che in passato e, fino all’altro giorno, più che in patria, a una media di 2 miliardi di sterline annui: l’immagine di un torneo di calcio spettacolare, veloce, interpretato da giocatori provenienti da tutti i continenti e dunque in grado di attirarne e fidalizzarne gli abitanti – avreste mai pensato di veder crescere i tifosi del Liverpool non solo in Colombia, ma addirittura presso gli esponenti dell’etnia Wayuu, grazie a Luis Diaz? – e allenato da tecnici conosciuti ovunque, e che magari si portano dietro le attenzioni e la notorietà delle loro precedenti esperienze.

In più, a tenere ancora fermi davanti al video locali e stranieri c’è la tipicità del contesto, da non sottovalutare: per come sono fatti gli stadi, guardare una partita di Premier League in tv vuol dire, nella stragrande maggioranza dei casi, guardare anche i volti dell’Inghilterra di oggi. Fateci caso: a parte al West Ham e un po’ al Manchester City, moltissime inquadrature di gioco e ancor più le riprese strette sulle panchine e sui calcio d’angolo o rimesse laterali mostrano i volti della gente sullo sfondo, permettono di calarsi in una realtà che diventa familiare e non estranea, consentono di assaporare un po’ di Old e New England anche in partite obiettivamente mediocri come può essere una Sheffield United-Luton Town. Estremizzando, diventa, questo pacchetto venduto a locali e stranieri, una forma gentile di sportswashing, di ripulita dell’immagine grazie allo sport, perché permette di dare un’aura di rispettabilità e persino attrattiva a città che in alcuni casi, se non fosse per il calcio, sarebbe improbabile voler visitare.

Certo, dalla programmazione è sparita Amazon, non sostituita né da Apple né da altri veri o presunti colossi dello streaming, ma nel primo caso c’è già la Champions League, con un numero maggiore di squadre, e in più il pacchetto disponibile non era molto interessante, e però non va dimenticato il lato meno pubblicizzato dell’accordo, quello relativo alla conferma della Bbc con i diritti di Match of the Day, il programma del sabato sera, 22.30, con edizione aggiuntiva la domenica, che mostra le immagini di tutte le partite, commentate da ex calciatori con la conduzione di Gary Lineker. Una tradizione nata nel 1964 e interrotta solo dal 1988 al 1991 e dal 2001 al 2004, quando i diritti furono ceduti alla concorrente privata Itv. La marcetta che fa da sigla al programma, immutata dal 1970, sul versante della cultura popolare inglese è un ponte con il passato in grado di resistere anche ai radicali cambiamenti che il calcio locale in versione video ha avuto dalla nascita della Premier League in poi, Sky o Tnt, streaming o satellite che sia.
 

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