Cristhian Stuani non era un bidone
L'attaccante uruguaino aveva giocato un anno e mezzo alla Reggina senza lasciare traccia. Lontano dall'Italia ha invece segnato e giocato bene. E ora al Girona è un eroe
Diciotto presenze in un anno e mezzo, un misero gol, un rigore procurato e trasformato con il brivido. Del passaggio italiano di Cristhian Stuani non resta che questo, una rete senza emozioni all’ultima di campionato, la classica partita di fine stagione in cui non c’è nulla da chiedere, nulla da giocarsi, soltanto far passare altri novanta minuti prima di andare in vacanza, mentre dall’altra parte di quel Reggina-Siena si davano da fare Massimo Maccarone (in gol) ed Emanuele Calaiò (espulso). Se sembra passata una vita è perché, calcisticamente, è esattamente quello che è avvenuto. La Reggina era già mestamente retrocessa: da quel momento, non ha più rivisto la Serie A.
Quattrodici anni e mezzo dopo, Cristhian Stuani gioca ancora. In mezzo ha infilato una carriera fatta di tante stagioni a lottare per la doppia cifra di gol nella Liga, tra Levante, Racing Santander ed Espanyol. Si è concesso un’esperienza inglese con il Middlesbrough, quindi ha trovato il posto giusto in cui stare, dove mettere radici. Per anni, Girona è stata un puntino indefinito e preziosissimo a nord di Barcellona, sponda perfetta per le compagnie low cost che volevano portare turisti in Catalogna senza sobbarcarsi i costi dell’aeroporto della città più importante. Lì, dopo i trent’anni, Stuani ha iniziato a segnare tantissimo, all’improvviso, un destino comune a molti attaccanti. Per le vie cittadine lo chiamano el Principe, gli chiedono foto che concede col sorriso perché “i successi del Girona sono quelli della gente che ha creduto in noi”. Ha riscritto la storia del club diventandone il miglior marcatore di tutti i tempi, scalzando dal trono Arcadi Camps, uno nato e cresciuto nella periferia di Girona, icona societaria negli anni Quaranta. Erano gol segnati in un’altra epoca, in un calcio che vedeva il Girona nelle categorie dei dilettanti. Per superare quella quota 106, Stuani ha impiegato solo 176 partite e cinque stagioni tra Liga e Segunda Division. Il suo arrivo al Girona è avvenuto nella stessa estate del passaggio di quote del club, tutt’ora controllato dal City Football Group: quando si parla del Girona, non bisogna mai dimenticare questo tassello cruciale.
Domenica sera ha segnato ancora, perché è la cosa che gli riesce meglio. Era entrato a un quarto d’ora dalla fine all’Olimpico di Barcellona, sulla collina del Montjuic, e aveva già messo lo zampino in occasione del gol di Valery Fernandez, con una sponda aerea delle sue. Il Girona era andato a un passo all’esondazione, ma il Barcellona si era rimesso in carreggiata, sotto di una sola rete, con una magia di Gündogan, sfiorando con Lewandowski il clamoroso 3-3. E allora è servita la zampata del principe, un tocco ravvicinato su un cross da sinistra, arrivando sul pallone con il passo pesante dei suoi 37 anni e di chi non è mai stato il più veloce della compagnia, nemmeno il più tecnico, ma spesso il più intelligente, quello capace di interpretare le folate di vento che animano una partita e di farsi trovare sempre al posto giusto. Il Girona è primo nella Liga, da sedici partite ci si continua a chiedere se durerà, intanto i punti di margine sulla Real Sociedad quinta sono diventati dodici e viene da pensare che esista il rischio concreto di vedere Stuani in Champions tra qualche mese.
La gente lo ama perché ha sofferto con loro: era in lacrime il 23 agosto del 2020, con le mani nei capelli a chiedersi com’era stato possibile, dopo una stagione da 31 gol, farsi espellere nella finale di ritorno dei playoff per tornare in Liga, contro l’Elche, lui che aveva marchiato a fuoco la doppia semifinale con l’Almeria. E ancora lacrime un anno più tardi, stessa storia, stesso posto, stessa delusione: sconfitta in finale con il Rayo, di nuovo purgatorio. Finalmente, nel 2022, la liberazione: gol nel dentro o fuori con il Tenerife, con la fascia da capitano al braccio, il viaggio dell’eroe finalmente giunto a destinazione. Sembrava potesse essere l’ultimo atto di una parabola già straordinaria, invece Stuani è ancora lì, incarnazione di un popolo che non vuole smettere di sognare.