1943-2023
È morto Antonio Juliano, una persona per bene
È stato un centrocampista silenzioso e invisibile, ma di enorme talento e sostanza, uno che "può giocare nel mio Ajax", disse Rinus Michels. È stato capitano del Napoli pre Maradona e uno dei fautori dell'arrivo del Diez in città. È stato un napoletano vero e anomalo
Si narra – Gianni Brera diede per quasi realmente accaduto l’avvenimento, insomma glielo confermò uno degli interessati – che dopo poche decine di minuti del suo primo allenamento con la maglia azzurra, Antonio Juliano fu bloccato dal commissario tecnico della Nazionale Edmondo Fabbri che gli chiese: “Ma te sei davvero napoletano? O abbiamo sbagliato convocazione?”. Lui, Antonio Juliano, non rispose, non rise, non esternò emozioni, si limitò a fare cenno di sì con la testa. I due si guardarono qualche decina di secondi, in silenzio, poi Fabbri fece ripartire l’allenamento.
Antonio Juliano era nato a Napoli il primo gennaio del 1943 e a Napoli è morto oggi. Antonio Juliano è stato Napoli, il Napoli, per poco più di ottant’anni sebbene avesse ragione Edmondo Fabbri a dubitare della sua napoletanità perché, come sostenne a più riprese il suo ex compagno di squadra e Nazionale, Dino Zoff, “Antonio era come me, un furlano di spirito, ma nato e orgoglioso di essere nato a Napoli. Era un napoletano atipico, diversissimo dallo stereotipo che abbiamo dei napoletani”. Lui si offendeva quando gli dicevano questo.
Antonio Juliano parlava poco, quando era in campo non lasciava alcuno spazio alla teatralità, a volte nemmeno lo si notava. E sì che a inizio carriera dribblava e non passava mai la palla, e sì che lui col pallone ci sapeva fare e ci sapeva fare benone. Poi Bruno Pasaola gli disse che era il caso di cambiare e lui lo ascoltò. E cambiando s'era messo a recuperare decine di palloni a partita, difficilmente sbagliava un passaggio. Si narra che nella stagione 1965-1966, che il Napoli chiuse al terzo posto (con la vittoria della Coppa delle Alpi, torneo oggi scomparso che metteva a confronto squadre italiane e svizzere), il 15 maggio del 1966 l’allenatore dei partenopei, Bruno Pesaola, disse nell’intervista del dopo partita per la radio: “Oggi con rammarico devo riportare il fatto che Antonio Juliano ha sbagliato il primo passaggio della stagione”. Era la 33esima giornata della Serie A, la Sampdoria vinse per 1-0.
Fu quella per Antonio Juliano una stagione strepitosa, non l’unica. Il compagno di squadra Omar Sivori – che fu fenomenale attaccante alla Juventus e che in quegli anni esprimeva gli ultimi assaggi di una classe strepitosa nel Napoli di Achille Lauro – disse di lui: “Se io, José (Altafini, ndr) e Cané possiamo pensare a segnare è perché c’è Antonio Juliano dietro che ci protegge. Ho sentito dire ad alcuni napoletani che Antonio è stato affidato da piccolo a San Gennaro: credo sia vero. Quando c’è lui in campo giochiamo più tranquilli, perché sappiamo che dietro a noi c’è un giocatore come lui, che ci protegge, che protegge Napoli perché non sbaglia mai”.
Antonio Juliano sbagliava pochissimo. Correva anche pochissimo, solo quando doveva muoversi verso l'area avversaria. Non aveva bisogno di correre perché lui capiva. Capiva l’azione, capiva avversari e compagni. Gli bastavano due passi per mettersi tra due avversari e conquistare il pallone e altri due per passare il pallone a chi era stipendiato per segnare.
Era il 10 dicembre del 1969 al San Paolo di Napoli, davanti a 20mila spettatori, i padroni di casa affrontavano l’Ajax (che dall’anno dopo sarebbe diventata la grande Ajax) nell’andata degli ottavi di finale della Coppa delle Fiere. Al trentaquattresimo Nico Rijnders passa la palla a Gerrie Mühren che con un dribbling supera Mario Zurlini e con un altro manda a terra Dino Panzanato. L’olandese alza la tesa, vede Tom Söndergaard libero sulla fascia destra e con un potente rasoterra lo serve. Il danese aveva la fascia sgombra, il Napoli era sbilanciato, al centro della difesa c’erano solo Luigi Pogliana e Luciano Monticolo davanti a Dino Zoff. Le possibilità di segnare l’1-0 erano altissime. Quella palla calciata da Mühren però non arrivò mai a Söndergaard. Antonio Juliano fece un passo, si gettò in scivolata, conquistò il pallone, poi si rialzò, fece un altro passo e calciò il pallone lontano, dalla parte opposta del campo. Il pallone era veloce e lì dov’era diretto non c’era nessuno. Non in quel momento almeno. Perché qualcuno arrivò. Vincenzo Montefusco apparve dal nulla come era apparso dal nulla Antonio Juliano pochi secondi prima. Stoppò la palla, la crossò al centro lì dove si era appostato Pier Paolo Manservisi: 1-0. Finì così anche quella partita. Il Napoli aveva battuto la quasi Grande Ajax. E il merito, sottolineò Giuseppe Chiappella, che guidava quel Napoli dalla panchina, “era soprattutto di Antonio Juliano”. Della stessa idea fu pure Rinus Michels, l’allenatore dei Lancieri: “Noi abbiamo giocato un calcio ottimo, ma in un modo o nell’altro incappavamo sempre nel capitano del Napoli. Devo ammettere che un giocatore come Antonio Juliano potrebbe giocare titolare anche nelle mie squadre”. Il Napoli gli ottavi li persero nella partita di ritorno, ad Amsterdam, ai supplementari. Al 90esimo finì 1-0, poi Johann Cruijff decise che l’Ajax non poteva essere eliminata e si prese la ribalta: concesse a Ruud Suurendonk l’assist per il 2-0, poi orchestrò il gioco per permettere alla riserva tanto apprezzata da Michels – si diceva fosse in realtà il vero viceallenatore – di realizzare una tripletta.
Antonio Juliano non si sentiva e non si vedeva, ma non c’era giocatore che andasse da lui per chiedergli un consiglio. Lui ascoltava, valutava, e poi diceva due parole due e quelle due parole due erano sempre quelle giuste. Proprio per questo dopo l’addio al calcio, nel 1979, Corrado Ferlaino lo volle in società. Lui disse di essere “molto contento per la fiducia”, poi curò l’acquisto di uno dei migliori difensori al mondo Ruud Krol e si oppose con forza al volere del presidente di cedere Claudio Pellegrini. Il primo fu il miglior difensore della Serie A, il secondo il capocannoniere dei partenopei.
Fuori dal campo riuscì a gettare le basi per quello che i più consideravano follia, ma lui (non solo lui) rese realtà: dopo oltre un anno e mezzo di suggerimenti al presidente Ferlaino, il 5 luglio 1984 riuscì finalmente a presentare al San Paolo Diego Armando Maradona.
“Vedere Maradona al San Paolo è stato un’emozione fortissima”, disse. “Quel Napoli fu una squadra straordinaria, ho solo il rimpianto di non essere riuscito a fare in modo che due giocatori che io consideravo eccezionali, Giovanni De Rosa e Paolo Benedetti, ne facessero parte. Sono sicuro di non aver sbagliato a giudicarli prima di segnalarli al presidente. Sono sicuro di aver sbagliato io non proteggendoli abbastanza”.
Antonio Juliano, disse Omar Sivori, è, era, “una persona per bene”.
Il Foglio sportivo