1953-2023
Settant'anni di gol in televisione
Dal rigore di Egisto Pandolfini alla rovesciata Leonardo Pavoletti, così gli italiani si sono abituati a esultare davanti alla tivù
Nel calcio italiano c’è un filo rosso lungo settant'anni che lega i nomi di due giocatori. Il primo è Egisto Pandolfini. Nato nel 1926 a Lastra a Signa, tra Serie B e Serie A, calca i campi da calcio dalla fine della Seconda guerra mondiale ai primi anni ’60. Esordio con la Fiorentina, con cui vince nell’estate del 1945 il Campionato toscano di guerra – doppietta nel 3-1 in finale contro la Pro Livorno –, passo d’addio come giocatore-allenatore all’Empoli, 1961-62, con la maglia dell’Empoli. In mezzo, un primo anno a Empoli, poi Spal, ancora Fiorentina, Roma, Inter, e ancora Spal. A Ferrara, 1947-48, diventa capocannoniere del torneo cadetto (20 gol in 31 partite) e quella vecchia volpe – all’epoca non ancora così vecchia – di Pavlòn Mazza, direttore sportivo della Società Polisportiva Ars et Labor, che lo aveva comprato per 3 milioni di lire dall’Empoli lo rivende a caro prezzo per 16 di nuovo alla Fiorentina. Coi viola Egisto gioca quattro anni, oltre 140 partite e 36 gol. Quando nell’estate del 1952 il presidente Befani, di fronte all’offerta di oltre 50 milioni, lo cede alla Roma, all’assemblea dei soci nella sede della Fiorentina volano le seggiole. Non sarà la prima volta, da quelle parti. Pandolfini gioca altre quattro stagioni in giallorosso (110 partite e 29 gol, praticamente infallibile dal dischetto del rigore) e da attaccante si trasforma in un interno tecnico e potente, una specie di Agostino Di Bartolomei vent’anni prima. Sulle rive del Tevere, diventa idolo dei tifosi romanisti, al punto da venire evocato da Alberto Sordi nella scena finale di Un giorno in pretura, di Steno (1953), quando sugli spalti Nando Mericoni smania per Pandolfini in un derby (dal frame 1:32:42) e da essere citato in un dialogo “calcistico” di Una vita violenta, secondo romanzo romano di Pier Paolo Pasolini: "E lasseme perde, no? Nun lo vedi che so’ Pandorfini, so’?" (1959, ma già iniziato fin dal 1955). Pandolfini fa una bella carriera anche in Nazionale. Esordio con gol contro il Paraguay, ai Mondiali del 1950 in Brasile, poi capitano alle Olimpiadi di Helsinki del 1952 e infine titolare fisso ai Mondiali svizzeri del 1954 (gol contro il Belgio): in tutto 21 partite e 9 gol, mica male per un centrocampista. Pandolfini muore il 29 gennaio 2019, pochi giorni prima di compiere 93 anni.
Invece per fortuna, sua e soprattutto dei tifosi del Cagliari, vive e lotta insieme a noi Leonardo Pavoletti, livornese, classe 1988, 35 anni compiuti da poco, il 26 novembre scorso. Dopo una lunga militanza nelle serie minori (Viareggio, Pavia, Juve Stabia, Casale, Virtus Lanciano), coi suoi gol (11 in 33 partite) – è centravanti d’area, specialità: colpo di testa – nella stagione 2012-13 contribuisce alla storica promozione del Sassuolo in Serie A. Ma i neroverdi gli fanno fare ancora un anno in prestito tra i cadetti, a Varese, dove non smette di segnare. Torna in Emilia l’anno dopo, ma di passaggio: va al Genoa, dove nonostante gli infortuni che iniziano a tormentarlo, fa, in due stagioni, 23 gol in 45 partite. Quindi, dopo un’anonima parentesi a Napoli, nell’estate del 2017 sbarca in Sardegna. A Cagliari continua a coltivare la sua prolificità (nei primi due anni 29 gol in 67 partite, con altissima percentuale di colpi di testa vincenti), ma nell’estate del 2019 incappa in un serio infortunio al ginocchio che lo tiene lontano dai campi per quasi un anno. Tornato a giocare, riduce la sua media-gol, ma non il peso specifico delle realizzazioni, spesso decisive anche perché siglate allo scadere della partita. La sua diventa una specialità, tanto che qualcuno vorrebbe ribattezzare la famosa “zona Cesarini” in “zona Pavoletti”. Già protagonista in passato di gol last-minute, negli ultimi cinque mesi ha dato il meglio di sé: l’11 giugno 2023, al 94’, dopo essere entrato in campo solo 5 minuti prima, ha segnato il gol della vittoria nella finale dei play-off di Serie B, a Bari, che ha riportato il Cagliari nella massima serie. Il 29 ottobre, ha siglato con una doppietta, al 94’ e al 96’, la rimonta da 0-3 a 4-3 contro il Frosinone. E infine, l’altra sera, lunedì 11 dicembre, il “Pavoloso” Pavoletti, al 98’, con una rovesciata da vero bomber ha firmato il gol della vittoria cagliaritana ai danni del Sassuolo, che al 90’ era ancora in vantaggio per 1-0. Leonardo che conosce i suoi limiti ha detto, a fine partita: "Io ho i piedi al contrario, ma negli ultimi minuti divento Van Basten".
Sì, ma a parte una labile corregionalità – dire a un livornese che qualcosa lo accomuna a un fiorentino, o viceversa non è mai una bella idea… – che cosa lega il lastrense Pandolfini al labronico Pavoletti? Anche se Pavoletti detiene tuttora il record della miglior media realizzativa per un giocatore della Nazionale – nella sua sola presenza in maglia azzurra, 20 minuti o poco più, in Italia-Liechtnstein del 26 marzo 2019 ha però segnato un gol – non si può dire abbia lo stesso ruolino di marcia di Pandolfini.
Ma se un capo del filo rosso di cui dicevamo all’inizio sta proprio nel gol di Pavoletti nell’altra sera a Cagliari, l’altro, andando indietro di settant’anni, ci porta proprio a Egisto Pandolfini. Era una domenica pomeriggio del 13 dicembre 1953, quando allo stadio Luigi Ferraris di Marassi, a Genova, si giocava Italia-Cecoslovacchia, valida per la Coppa Internazionale. Più che il risultato, un netto 3-0 a favore degli Azzurri, quell’evento viene ricordato per essere stata la prima partita di calcio della Nazionale italiana trasmessa in diretta dalla Rai. Erano le ultime settimane di produzione sperimentale prima della messa in onda ufficiale dei programmi, la mattina de 3 gennaio 1954 e, in quell’occasione una troupe esterna della Rai da bordo campo, riprese e trasmise in diretta nazionale il secondo tempo dell’incontro. Le squadre erano andate al riposo sul 2-0 per gli Azzurri, con reti del fiorentino Sergio Cervato e dello juventino, e oriundo, Eduardo Ricagni. Ma quello che, poco prima delle 16 – il fischio d’inizio venne dato alle 14.45 – videro in diretta i non molti telespettatori – erano ancora poche migliaia gli apparecchi in dotazione alle famiglie italiane e oltretutto le trasmissioni raggiungevano solo in parte il territorio nazionale, dato che il segnale si fermava poco più a sud di Roma – fu solamente il terzo gol dell’Italia. E a realizzarlo, al 2’ della ripresa, con un preciso calcio di rigore fu Egisto Pandolfini.
A vederle oggi quelle immagini, ovviamente in bianco e nero, sembra che i ventidue calciatori galleggino labili dentro un acquario vischioso, ma dal rigore di Pandolfini sulle incerte frequenze della nascente Rai alla rovesciata di Pavoletti sui canali Dazn e Sky l’ipnotico incanto di quella scatola magica – anche se adesso ha preso la forma di una specie di cinematografo casalingo o di un tascabile device – dentro la quale prendono forma sogni e proiezioni, private e collettive, non ha ancora smesso di incantare, e spesso rinciulire, l’Italia del pallone.
Il Foglio sportivo - In corpore sano