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La crisi immaginaria delle squadre inglesi in Champions
Vedrete che a fine stagione i trofei europei più importanti finiranno dalla parte giusta della Manica
Io capisco l’ansia da prestazione, il terrore di non avere sempre qualcosa da dire e il provincialismo da quattro soldi che vi piace tanto, ma a chi sostiene – restando serio – che le squadre inglesi sono in crisi perché non tutte hanno superato i gironi di Champions League non posso che augurare birra sgasata per tutta la vita. Non siate ridicoli, please.
Se c’è una nazione che negli ultimi vent’anni ha portato più squadre in finale di tutte le altre, e più squadre diverse, quella è l’Inghilterra. Il calcio è fatto anche di contingenze e colpi di culo, bullarvi perché tre italiane sono andate agli ottavi da seconde fa di voi delle persone poco serie, oltre che lasciarvi nel pericoloso limbo di chi si illude che allora la Serie A sia bella e competitiva. Qualcuno di quelli che si vantano di trattare il calcio con approccio culturale e patinato ha persino scritto che forse le squadre inglesi sono sopravvalutate (mai quanto certe riviste, of course). Il Manchester United è in crisi da anni, e ha affrontato la sfida contro il Bayern con più infortunati di una squadra allenata da Pioli, lo stesso vale per il Newcastle, peraltro nuovo a certe esperienze europee e quasi qualificato in un girone difficilissimo. Brighton, Liverpool e West Ham hanno vinto i loro gironi in Europa League, l’Aston Villa il suo nella Conference. A fine stagione faremo i conti, e vedrete che i trofei più importanti saranno dalla parte giusta della Manica. Non che qui vada tutto per il verso giusto, sia chiaro. Succedono cose che mi fanno invidiare l’Italia, dove il calcio femminile conta meno di un torneo di bocce, e fa venire voglia di affondare nella mia bionda per dimenticare che da noi invece è trattato come una cosa seria, per cui succede che l’Arsenal, invece di godersi il secondo posto in classifica in Premier e la qualificazione in Champions, sia al centro di un dibattito dai tratti hollywoodiani sulla mancanza di diversity nel calcio femminile britannico.
C’è indignazione (sui social e sui giornali, nel mondo reale frega relativamente) per la foto di squadra delle Gunners in cui non c’è neanche una giocatrice di colore. L’ex calciatrice nigeriana Eni Aluko ha scritto un lungo editoriale sul Guardian (e dove se no?) per dire che bisogna cambiare le modalità di reclutamento delle calciatrici, dicendo che va bene scegliere le migliori ma bisogna anche scegliere le diverse dallo stereotipo bianco, così da rappresentare al meglio anche la diversity dei tifosi.
Questo succede a trasformare il calcio in strumento per le battaglie sociali e non trattarlo più come uno sport. L’esempio è la squadra americana Angel City, scrive Aluko, che “ha giocatrici di origini nere, miste, asiatiche, native americane, mediorientali, americane ed europee”. Che ovviamente si inginocchiano prima delle partite durante l’inno nazionale. E che a fine carriera diventeranno editorialiste del Guardian.
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