Crocicchi #16
C'è tanta stanchezza in Serie A. La decideranno gli infortuni muscolari?
L'Inter va avanti spedita, il Milan recupera qualche punto, mentre da Torino a Napoli si intravede il fiatone, forse solo momentaneo. Tra impegni europei, di coppa e con le Nazionali, si vedono dita all'aria che ruotano il cambio improvviso
C’è molta stanchezza, in questo finale. Lo scandiva Sandro Piccinini commentando in cronaca Newcastle-Milan, si può applicare anche agli ultimi sprazzi del 2023 calcistico: almeno in Serie A. È stanca la Juventus, che tante energie ha speso per rimanere incollata all’Inter e ora potrebbe sempre doverla rincorrere a distanza: nerazzurri che, invece, superano ostacoli come birilli. E nessuno, nel campionato italiano, ha ancora trovato un serio antidoto per prevenire l’ineluttabile. Stanche le romane, sopraffatte dalla forza maggiore (la Lazio) o dai propri fantasmi, nel senso di giocatori assenti o sbiaditi come nel caso della Roma. Stanca la Fiorentina, di vedere tanta inconcludenza dalle ali e dai centravanti: solitamente produce una mole di gioco notevole e fatica a concretizzarla, ma contro l’Hellas Verona è accaduto addirittura l’opposto. Stanco il Napoli, che un anno fa si sarebbe sbarazzato con nonchalance delle ultime squadre in classifica, mentre ora proietta il suo sogno al dentro o fuori europeo contro il Barcelona. Il riposo di fine anno sarebbe arrivato al momento giusto, ma quest’anno così non è: dopo il weekend a ridosso del Natale, il torneo scenderà in campo nel più meraviglioso dei boxing day, il 30 dicembre. Giorno che storicamente sancì la fine della carriera di Lionello Manfredonia, salvato da un defibrillatore già presente con lungimiranza allo stadio Dall’Ara nel 1989, poi mutuato dappertutto. E non finisce qui: con pandoro e spumante ancora in digestione, il 2 gennaio sarà la volta di una gelida coppa Italia (con il Milan) e il 5 sarà di nuovo lotta per i tre punti sotto la calza.
Un anno che vivrà con l’orizzonte fisso alla campagna per la riconferma azzurra del titolo europeo per rappresentative nazionali, nella fausta Germania di giugno e luglio. E, prima, la coppa d’Africa e quella d’Asia, per non farsi mancare niente e dare motivi d’imprecazione alle squadre di club, che temono per la salute dei propri atleti. Oltre, naturalmente, all’ultima Champions League con questa formula, e gli altri trofei organizzati dalla Uefa per il gigantismo televisivo d’oltremare. Come può un campionato, fra l’altro sceso di livello come quello italiano, pretendere di ricevere l’attenzione che i suoi presidenti sperano, i procuratori ambiscono, le città vivono? Deve accadergli qualcosa, affinché sia così: qualcosa di fresco, di inedito, di giovane e sfrontato, che gli ricordi com’era e gli dica come potrebbe essere. Quello che i Fontaines D.C. sono stati per la musica negli ultimi anni, e non basteranno uno o due talenti avulsi dal contesto (vero, Simone Pafundi?). Da sopra la torre superstite, una voce reclama: può essere che sia il Bologna di Thiago Motta e Joshua Zirkzee, di Remo Freuler e Riccardo Calafiori?
In tempi di vacche grasse, il mercato di gennaio avrebbe vissuto di fuochi d’artificio. Ma ora, con l’hype scemato della Saudi League e le pezze addosso di chi millanta fondi contesi tra diverse falle societarie da coprire, si rinnovano i contratti solo per cedere i calciatori a prezzo più alto: al limite della simulazione giuridica dell’accordo. Ma quanti infortuni muscolari, ormai, succedono senza prevenzione: Rafael Leão, Nico González, Houssem Aouar, tutti con la stessa semiotica della corsetta, frenata, sguardo al muscolo, al cielo, alla panchina. Dita che ruotano il cambio improvviso, sperando non sia troppo tardi per districarsi tra stiramento, strappo, lesione. Questo il bivio singolare e plurale che fa la differenza tra la fatica e la scioltezza, il passaggio del turno o il declassamento, premi di turno al posto dei milioni in fumo. Braccetti e braccini: l’Udinese, forse incredula di una vittoria a quel punto tanto franca contro una rivale meno che diretta, ha tirato i remi in barca e si è chiusa, subendo l’one-man-penalty show di Domenico Berardi. Dell’Hellas si è detto, certe occasioni sono più uniche che rare, quando finalmente al raro gioco espresso fanno sèguito anche le chance per tornare vittoriosi. E va a finire che saltano i nervi, sempre più spesso davanti ad arbitri protagonisti o non all’altezza: viene tollerato il gioco duro, due avversari possono insultarsi senza subire conseguenze, ma non la passa liscia chi “ammonisce” una giacchetta che sbaglia. Specie a dieci minuti dalla fine: c’è molta stanchezza, in questo finale. Viva gli umani.
Il Foglio sportivo