Olive #16
Lautaro Martinez è un cartografo
L'attaccante dell'Inter ha segnato più di tutti in questa stagione. Il suo è un talento geometrico, estremamente pratico, ossia finalizzato al risultato di un gesto, più che alla sola resa scenica
Fino all'inizio dell'Ottocento nell'insenatura costiera che penetra verso la Pampa, lì al confine con la Patagonia, nei pressi delle isole di Trinidad e Bermejo, c'erano solo polvere, delfini e, sulla costa, strane capre selvatiche che se la belavano tranquillamente. Il governo spagnolo non s'era preso nemmeno la briga di mappare il territorio. La prima mappatura della zona avvenne nel 1812, due anni dopo la Rivoluzione di maggio che portò all'indipendenza dell'Argentina. Qualche pescatore s'era trasferito lì perché le acque erano pescose e assieme a loro arrivarono anche qualche agricoltore che iniziò pure ad addomesticare le capre selvatiche che c'erano lì dalla notte dei tempi: offrivano un'ottima lana e, col tempo, un latte di prima qualità. La chiamarono Villa Trinidad e c'abitavano più o meno in un centinaio di persone. Fu nel 1827 che Villa Trinidad entrò davvero negli interessi del governo argentino. Lì venne costruita una fortezza per difendere l'insenatura in quanto il Brasile, in guerra a quei tempi con l'Argentina, aveva scelto quel luogo per invadere il paese da sud.
La fortezza resse, arrivarono parecchi soldi, coi soldi arrivarono molte persone e con le persone il treno. Chi stava lì pensò che Fortaleza Protectora non fosse un gran nome per chiamare il paese e decise di rinominarla Bahia Blanca. Poi, decisero di rimappare la zona perché il governo argentino aveva sbagliato calcoli e disegni e tutto quello creava liti tra i cittadini. E i cittadini della neonata Bahia Blanca non avevano né voglia né bisogno di liti, ma volevano tranquillità e armonia. Al punto che nel disegnare la loro bandiera cittadina ci misero il sole, una piuma, una spiga e una ruota dentata per dimostrare a tutti che solo con l'armonia tra uomo e ambiente si poteva creare una società forte.
Non andò sempre così, ma non si può dire che non c'avessero provato.
Non andò sempre così, ma se a Bahia Blanca si sta meglio che altrove, se la speranza di vita è la più alta d'Argentina e il tasso d'analfabetismo è il più basso forse qualcosa di buono è rimasto.
Senz'altro è rimasta la passione del mappare la città e le zone limitrofe. Dall'inizio del Novecento, ogni due o tre anni, la municipalità di Bahia Blanca controlla la bontà della mappatura della zona. Ci tengono.
Mappare vuol dire conoscenza dei luoghi, affidamento alla geometria e alla topografia, ossia, a dire del geografo tedesco Eduard Brückner, “volontà di affidarsi alla meraviglia del reale senza dover credere in qualche strano racconto mitologico. È nel pratico che si nasconde il sublime”.
Lautaro Martinez di Bahia Blanca è figlio e straordinario interprete ed è, del tutto inconsapevolmente, l'applicazione calcistica più riuscita del pensiero di Eduard Brückner. “È nel pratico che si nasconde il sublime” calcistico dell'attaccante dell'Inter.
In una Serie A che negli anni ha visto andarsene molti, moltissimi, grandi talenti, continua a conservare quello di Lautaro Martinez. Il suo è un talento geometrico, estremamente pratico, ossia finalizzato al risultato di un gesto, più che alla sola resa scenica. Tutto in lui è proteso verso il gol. Ogni movimento, ogni tocco, non ha mai a che fare con il campo dell'estetica, ma con quello della praticità. Si autofavorisce, si autofacilita il gioco e quindi la vita calcistica. Andava così quando arrivò all'Inter nel luglio del 2018. È continuato così stagione dopo stagione, azione dopo azione, gol dopo gol (ormai sono quasi cento in Serie A). A tal punto che ormai non dipende più da schemi e compagni di squadra. Si autoalimenta, perché capace di adattarsi a qualsiasi schema e a qualsiasi compagno. A patto che non giochino per sé, ma per la squadra.
E questo accade perché Lautaro Martinez ha la capacità innata di farsi trovare lì dove è necessario farsi trovare, quasi se la passione per la mappatura delle amministrazioni di Bahia Blanca si sia fissata come estensione naturale del suo io e quindi del suo gioco. Sa esplorare la periferia dell'area di rigore od occuparne il centro con la stessa naturalezza
Il grande talento di Lautaro Martinez è quello di riuscire a mappare il campo da gioco in continuazione e sfruttare al meglio la disposizione di compagni e avversari, capire prima e meglio degli altri dove dirigersi. E se si ha tecnica e potenza tutto ciò risulta difficilmente controllabile.
È un modo di giocare dispendioso quello di Lautaro Martinez, perché basato su scatti e accelerazioni, polmonare tanto quanto cerebrale. Ogni tanto fatica e faticando si intoppa. È successo sempre nelle ultime stagioni. Potrebbe accadere anche in questa. O forse no. Perché al suo fianco quest'anno ha qualcuno che gli somiglia. Anche Marcus Thuram è un'esploratore di campo, un attaccante di corsa e di intensità, anche lui uno a cui piace muoversi nella periferia dell'area di rigore per poi farsi trovare al centro per sfruttare il lavoro dei compagni, oppure lavorare per i compagni. Non se ne erano accorti all'Inter di aver trovato la coppia migliore che potessero imbastire. O forse sì, forse Bappe Marotta lo aveva capito, ha solo fatto un po' di scena per far vedere che i nerazzurri qualche soldo ce l'avevano ancora.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. La prima giornata è stato il momento di Jens Cajuste (Napoli). Il secondo appuntamento è stato dedicato a Luis Alberto (Lazio); nella terza giornata vi ha tenuto compagnia Ruggiero Montenegro con Federico Chiesa (Juventus); nella quarta è stato il turno di Andrea Colpani (Monza); nella quinta di Romelu Lukaku (Roma); nella sesta è sceso in campo Yacine Adli (Milan); la settima puntata è stato il momento di Albert Gudmundsson (Genoa); nell'ottava di Giacomo Bonaventura (Fiorentina); la nona ha visto scendere in campo Zito Luvumbu (Cagliari); la decima Matias Soulé (Frosinone); e nell'undicesima Riccardo Calafiori (Bologna); la dodicesima invece è stato il momento delle parate di Etrit Berisha (Empoli); la tredicesima è stata l'occasione per conoscere meglio Jeremy Toljan (Sassuolo); la quattordicesima ha visto segnare Lorenzo Lucca (Udinese), la quindicesima invece ha raccontato la crescita di Joshua Zirkzee (Bologna). Trovate tutti gli articoli qui.