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La seconda giovinezza dei Los Angeles Clippers
Attorno a Leonard, George, Harden e Westbrook – tutti tra i 32 e i 35 anni – sta emergendo una squadra spettacolare. Perfino da titolo. Ma questo, nella franchigia più dannata dell’Nba, si preferisce non dirlo
S’è accesa una fiammella a Los Angeles. Ancora effimera, magari, nascosta dal bagliore storico e attuale – brilla in bacheca l’In-Season Tournament – dei soliti Lakers. Eppure, mai come quest’anno potrebbe essere la volta dei ‘cugini sfigati’, i Clippers. Nessuna malizia: la Clippers’ curse, quel presunto anatema sulla seconda franchigia della città, è una formula ben nota al glossario Nba e proviene dall’autoironia degli stessi tifosi rossoblù. Che a questo punto faranno gli scongiuri, perché quel “mai come quest’anno” se lo sentono ripetere da un decennio buono e poi è sempre, puntualmente, finita male. La differenza è che oggi le aspettative sono basse. La squadra data per vecchia, bollita. E invece sta affiorando un quartetto d’archi portentoso: guidano Kawhi Leonard, Paul George, James Harden e Russell Westbrook. Sono tutti losangelini, tra i 32 e i 35 anni. Hanno tutti un conto aperto con l’Nba. E lo stanno saldando laddove non è mai riuscito a nessuno.
Nessuno, soltanto un mese fa, avrebbe pure immaginato un simile colpo di scena. L’intero mondo Clippers era travolto dai risultati e dalle critiche: per portare Harden a Los Angeles è stato appena smantellato mezzo roster e in tutta risposta il parquet ha portato in dote 5 sconfitte nelle prime 5 uscite di The Beard. Un fiasco totale. Poi qualcosa si accende: contro Houston, il 18 novembre, Leonard, Harden e George firmano 73 punti in tre e i Clippers ritrovano il sorriso. Inizia così una serie di 13 vittorie in 16 gare. Le ultime 8 di fila. Con il miglior attacco di tutta l’Nba – 126 punti realizzati, quasi 13 di scarto medio – e trame di gioco da all-star game. “Ogni partita è una sfida con noi stessi”, dichiara l’ultimo arrivato. “Stiamo capendo come gettare le basi per qualcosa di importante: siamo nella direzione giusta”.
È come se quattro pianeti in parabola discendente tutt’a un tratto si fossero allineati, aprendo varchi impensabili. Harden proveniva da un paio di stagioni incolori nella East coast, Brooklyn più Philadelphia, dove non era riuscito a lasciare il segno. Westbrook passava da una parte all’altra di Los Angeles pochi mesi prima di lui, ormai nel ruolo di comprimario. Da tempo, complici gli infortuni, George aveva smesso di essere un giocatore di prima fascia nelle gerarchie della lega. Lo è invece Leonard, che però in quattro anni da uomo-franchigia dei Clippers aveva tradito le aspettative. Ma ecco scattare la molla. L’alchimia di pallacanestro vissuta: Westbrook e Harden, a inizio carriera, insieme facevano faville a Oklahoma; sempre ai Thunder, Russell aveva esaltato i colpi del miglior George; e quando quest’ultimo nel 2019 volò a Los Angeles era stato per espressa richiesta di Kawhi. “Non firmo coi Clippers” disse, fresco di anello con Toronto, “se con me non firma anche Paul”. Stanno ancora aspettando i dividendi di quella scelta. Forse ancora per poco: in questa stagione George sta giocando con insperata costanza di rendimento, Westbrook si è calato nella parte del jolly efficiente dalla panchina, Harden segna – 8 su 11 da tre, nel trionfo più recente sui Pacers – e fa girare la squadra. Cioè Leonard: oltre 29 punti e il 60 per cento al tiro nella striscia vincente dei suoi. “Abbiamo portato qui James per rendere la vita facile a Kawhi”, spiega coach Tyronn Lue. “E contribuire a formare una mentalità vincente”.
È l’ultimo tassello che manca ai Clippers per candidarsi seriamente al titolo. E rompere la maledizione: l’unico acuto della loro storia resta la finale di Western Conference centrata nel 2021. Prima e dopo una lunga sfilza di malasorte, errori dirigenziali, suicidi cestistici. Nel frattempo l’ex Staples Center è diventato il santuario del disincanto. Senza profeti in patria. Sarebbe il colmo, se ci volesse la svolta vintage per fare pace col passato.
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