Il Foglio sportivo
Zirkzee l'olandese volante
La stella del Bologna incanta con il suo calcio spirituale da artista bohemienne, capace di danzare leggero sul campo
Un corpo in volo, leggero come quello di un ballerino. Alla Scala del calcio, sotto gli occhi di un pubblico che pregustava già il passaggio ai quarti di finale, è andato in scena l’ennesimo show stagionale di Joshua Zirkzee, uno che a incontrarlo per strada non farebbe certo pensare alla leggerezza: 193 centimetri, nel calcio, raramente vengono associati a movimenti così leggiadri. Ma tra la strada e il campo c’è differenza: quando indossa gli scarpini, l’olandese diventa etereo. In quello che per anni è stato il teatro di Zlatan Ibrahimovic, Zirkzee ha confermato ancora una volta quello che si diceva di lui fin da ragazzo, così promettente da farlo arrivare prima al Feyenoord e poi al Bayern Monaco. Abbiamo visto un corpo volare, tra le corde di un’altalena invisibile: si è girato, ha rimesso in mezzo il pallone di tacco, quindi è andato di corsa ad abbracciare Beukema, beneficiario di questo dono volante, di questo oggetto non identificato planato all’improvviso nell’area di rigore di San Siro mentre tutti guardavano altrove.
Il calcio che sgorga dai piedi di Zirkzee è spirituale, possiede un qualcosa che ci riconcilia con il concetto di bellezza. Lo vediamo in porzioni di terreno di gioco in cui un centravanti raramente si avventura, attorniato da mediani e centrali difensivi che finiscono per seguirlo pur di provare ad arginarlo, spesso invano. È uno schiaffo all’ordine costituito, perché quando si pensa a una imminente lotta fisica, Joshua è già da un’altra parte, una carezza al pallone, un tunnel a un malcapitato e via verso l’apertura a un compagno di squadra, come nell’invito che ha spedito Ndoye verso la porta di Audero. I critici dicevano (e dicono, ma le voci si stanno facendo sempre più flebili) che un centravanti deve soprattutto fare gol, senza contare quanti in realtà ne faccia fare: gli assist sono facilmente calcolabili, ma c’è tutto un campionario di giocate che non fanno altro che facilitare il gioco del Bologna e non finiscono in nessun tabellino, neanche nei più accurati.
È lì, lontano dai numeri, che Zirzkee fa la differenza, con un fare da artista bohemienne. Se la squadra di Thiago Motta riesce a esprimersi in questo modo è anche per la facilità, persino per l’indifferenza, con cui il suo centravanti affronta le partite, dalla più semplice alla più complessa. C’era chi pensava che fosse un azzardo privarsi di Arnautovic senza avere un piano B, ma Giovanni Sartori e Marco Di Vaio sapevano bene, da conoscitori profondi di calcio, che alcuni esseri umani hanno anche bisogno di fiducia incondizionata per poter rendere nel migliore dei modi. L’addio dell’austriaco ha rappresentato la scintilla necessaria per vedere la versione deluxe di Zirkzee, uomo ovunque e anche finalizzatore, rarissimo esemplare di una razza da tempo in via d’estinzione, quella degli attaccanti che davanti al portiere si prendono il rischio di andarsene via in dribbling e appoggiare a porta sguarnita, un retaggio da calcio, questo sì, di strada, con le porte improvvisate e l’urgenza di dover ridurre al minimo i rischi della conclusione per poter scappare via con le braccia larghe e la voglia di urlare. “Ha fatto un click mentale dal giorno in cui Marko è partito, tutti i giorni chiede di più a se stesso e ai compagni”, ha detto di lui Di Vaio, uno che il gol lo ha sempre avuto come obiettivo primario a differenza di Zirkzee, che talvolta sembra stare in campo per onorare principi artistici prestati al calcio.
Ma di sola bellezza, su un campo, non si può vivere, e allora questa parentesi della stagione dell’olandese sembra quella dell’attaccante perfetto: un dieci incastrato nel corpo di un nove, che però ha anche iniziato a segnare come richiede il gravoso incarico. Thiago Motta, parlando di lui ancora in preda all’entusiasmo post impresa milanese, lo ha descritto, non a caso, come un “profilo difficile da trovare oggi: ha grande qualità tecnica e fisica, però è altruista, pensa prima al gruppo e poi a se stesso”. Un complimento enorme con un sottotesto abbastanza facile da leggere: se qualcuno intende bussare alla porta del Bologna, dovrà farlo carico di decine di milioni, ammesso che bastino. L’apprendistato di Zirkzee è stato di primissimo livello, gli allenamenti condivisi con Robert Lewandowski ai tempi del Bayern, la capacità di assorbire tutto, come una spugna: “Ho imparato tantissimo da lui, ho guardato con attenzione i suoi movimenti, il modo in cui toccava il pallone, cercando di adattarlo al mio stile”, aveva detto il giorno del suo arrivo a Parma, prima esperienza italiana fugace e senza squilli di tromba. Una conferenza stampa, però, interessante: indicava Ronaldinho come modello, scelta strana per un centravanti ma decisamente in linea con il suo gusto per il gioco, e ammetteva di aver seguito con attenzione, nei suoi anni al Feyenoord, Graziano Pellé. Ma nel suo modo di essere centravanti ci sono anche i video di Ibrahimovic e van Basten mandati a memoria, nel tentativo di capire come far funzionare il corpo in quel modo sublime. Un processo di assorbimento, di interiorizzazione profonda di un gesto tecnico e fisico all’interno della propria memoria muscolare, che ora sembra chiaro a tutti.
Il Bologna, giustamente, sogna da grande, e viene da chiedersi se queste ambizioni riusciranno a collimare con quelle di Zirkzee, per il quale si parla già di scenari che fanno accapponare la pelle. Se dovessimo soltanto pesare la facilità con cui va in giro per i campi della Serie A, San Siro compreso, non ci sarebbe il minimo dubbio su una carriera da stella fra le stelle. Ma servono tanti fattori, incluso quel click mentale di cui ha parlato Di Vaio: è piena la storia del calcio di astri nascenti che hanno sofferto la presenza di altre luci abbaglianti nei dintorni. Per il momento, forse, è meglio non pensarci. Meglio godersi questo Zirkzee che vola libero, sfrontato, capace di farci vedere un calcio tecnicamente arrogante e allo stesso tempo delicato come solo la carezza di una madre sulla testa di un neonato può essere. Presi dal risultato come unica divinità della quale tenere conto, ci siamo dimenticati che a volte, davanti a ventidue uomini che corrono dietro a un pallone che rotola, quello che conta è semplicemente divertirsi. E allora speriamo che Zirkzee continui a danzare, facendoci rivedere all’improvviso dei frammenti che appartenevano a Falcao e Mancini, a Totti e Ibrahimovic. E un giorno, fra trent’anni, vedendo una giocata del genere, magari diremo: “Guarda, sembra Zirkzee”.