Appunti per l'Nba
Il capolavoro aziendale dei Dallas Mavericks
Mark Cuban aveva comprato la franchigia per 285 milioni di dollari: dopo 23 stagioni e un titolo Nba, oggi la rivende a più di 3,5 miliardi. Il retroscena? Secondo il tycoon, il futuro del basket è nel mercato immobiliare che ha deciso di puntare sui Mavs
I magnati del basket farebbero bene a prendere appunti. Perché “stanno cambiando gli equilibri imprenditoriali dell’Nba”. E se a dirlo è Mark Cuban, tutto sommato c’è da fidarsi. 65 anni, stimmate del self-made-man, la palma del proprietario di franchigia più mediatico d’America. Segni particolari: ha appena venduto le quote di maggioranza dei Dallas Mavericks per oltre 3,5 miliardi di dollari. Nel gennaio del 2000 gli erano costate 285 milioni. Dieci volte e passa di meno. “La mia squadra può stare tranquilla”, sorride a trentadue denti. “Non accuserà la transizione e crescerà ancora. Qui l’unica cosa che cambia è il mio conto in banca”. Titoli di coda, e altra comparsata in arrivo tra cinema e serie tv – ne conta già una ventina, compresi i Simpson e American Dad. La cessione dei Mavs – Cuban manterrà comunque il 27 per cento delle quote, più un ruolo chiave nelle “basketball operations” – non rappresenta soltanto un capolavoro aziendale. È il punto esclamativo su 24 anni di autentica rivoluzione sportiva.
Prima di Cuban, il basket a Dallas era poca roba. Squadra materasso, palazzetto semivuoto. Oggi l’American Airlines Center – inaugurata pochi mesi dopo l’arrivo del tycoon – è l’unica arena dell’Nba a contare oltre 20mila spettatori di media. Con Mark in prima fila, a fare il tifo sempre o quasi – nel 92 per cento delle partite: più di qualunque altro suo collega. Nel periodo in questione, Dallas ha centrato la sua prima finale Nba (2006) per poi vincere l’anello (2011) e raggiungere i playoff in tre stagioni su quattro. Ha forgiato un hall-of-famer come Dirk Nowitzki. Ne coltiva un altro come Luka Doncic: Cuban si congeda sereno anche perché il pallone è nelle mani fatate dello sloveno. E perché tutta Dallas, fra traguardi e iniziative filantropiche, lo adora. L’altro lato della trattativa è la nuova proprietà dei Mavericks: la famiglia Adelson-Dumont, colosso nel settore dei casinò e resort di lusso. “Loro non sono gente di basket, io non c’entro col mercato immobiliare”, spiega Cuban. “È una partnership che funzionerà proprio perché mette a contatto due mondi diversi”.
E qui l’intuizione economica si fa politica. Un conto, per gli Adelson-Dumont, è investire a Las Vegas. Tutt’altra storia è puntare sul Texas, dove il gioco d’azzardo a oggi è illegale. “Delle scommesse sportive non m’interessa. Ma ci pensate, un Venetian costruito nel cuore di Dallas? Cambierebbe tutto”. E allora si intravede la portata ultima dell’iniziativa. In passato Cuban aveva apertamente sostenuto Hillary Clinton, scontrandosi con Donald Trump e valutando perfino di candidarsi come candidato indipendente alle presidenziali degli Stati Uniti nel 2020. Al contrario, gli Adelson-Dumont hanno sempre oliato generosamente gli ingranaggi amministrativi del Texas a trazione repubblicana. Sono aperti sostenitori di Trump. E contano nel risultato del 2024, per ottenere una modifica della normativa statale in materia di case del gioco. Qualcuno potrebbe dire pecunia non olet. L’ormai ex numero uno dei Mavs risponde semplicemente di aver scelto “non il miglior offerente, ma gli acquirenti migliori nel loro lavoro”.
Il messaggio tra le righe, per il resto dell’Nba, è l’enfasi sul mercato immobiliare come nuova fonte di reddito. Cuban a suo tempo, partito “da una delle 10 università più economiche degli Stati Uniti” – nel mezzo pure barista e venditore di francobolli – aveva fatto fortuna con le nuove tecnologie. A porre le basi della sua scalata nel basket era stata una società di internet- radio, da lui co-fondata e poi comprata da Yahoo per 5,7 miliardi nel 1998. Nello stesso frangente, l’Nba si apprestava ad attraversare una lunga congiuntura a trazione multimediale: secondo Forbes, ancora oggi il settore rappresenta circa il 50 per cento degli introiti di una franchigia. E al 2023 Dallas è la quinta su 30 per profitti stagionali: 429 milioni di dollari. Più dell’intera somma pagata in origine di Cuban. Che ora lascia da mago dei numeri, vincitore e visionario.