Serie A
Il Napoli del nuovo Mazzarri inizia ad assomigliare al Napoli del vecchio Mazzarri
L'allenatore degli azzurri aveva detto di essere cambiato, di aver cambiato idee tattiche. Per salvare la stagione dei campioni d'Italia però ritornerà ai vecchi metodi e al vecchio credo
Sin dal momento del suo arrivo, Walter Mazzarri ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco: si è dichiarato cambiato non solo nell’animo, ma anche nelle convinzioni tattiche. “Il 4-3-3 è il mio modulo preferito, è bello questo modulo, è quello che mi piace di più e voglio andare avanti con questo sistema di gioco”, è arrivato a dichiarare l’uomo che, fino a qualche anno fa, si faceva alfiere della difesa a tre (disse, tra le altre cose, “La Juve di Conte cambiò modulo per adeguarsi al nostro gioco”). Questo tentativo di sedersi sulla panchina del Napoli e di diventare, improvvisamente, Spalletti, era poco credibile fin dal primo impatto e a posteriori non sembra riuscito. Del resto, l’input societario è quello fin dall’estate, dall’arrivo in panchina di Garcia: si è vinto con il 4-3-3, avanti con il 4-3-3. Viene da chiedersi, però, se valga la pena, per Mazzarri, combattere questa battaglia in nome di idee che non sono le sue. E domenica pomeriggio, a Torino, davanti a un pubblico che conosce benissimo “l’altro” Mazzarri, quello della difesa a tre iper aggressiva, dei braccetti pronti a seguire gli avversari in ogni angolo del campo pur di renderne impossibile la giocata, potrebbero vedersi i primi segni di un cambio di rotta.
Pensare che il Napoli schiacciasassi dello scorso anno abbia perso di colpo tutto ciò che lo aveva contraddistinto lo scorso anno risulta poco credibile, eppure il confronto col passato è impietoso in termini numerici e di gioco. Proprio per questo, provare a continuare a insistere sullo stesso spartito sembra una scelta pigra: il futuro di Mazzarri ad alti livelli passa anche da questi cinque mesi che restano da spendere sulla panchina azzurra e sicuramente si sentirebbe maggiormente a proprio agio interpretando un copione che conosce a menadito, essendone stato uno dei principali interpreti negli ultimi 25 anni del nostro calcio. L’ultimo grande Mazzarri risale proprio all’esperienza granata, stagione 2018/19: granitica difesa a tre, contesto mutevole tra mediana e attacco, marcature a uomo aggressive ed esterni di centrocampo pronti a essere l’uomo in più in zona gol, con il chiaro compito di allargare le retroguardie avversarie.
Dal mercato sembrano arrivare soluzioni in grado quantomeno di ampliare l’orizzonte tattico del Napoli se non da subito almeno a partita in corso, perché Mazzocchi è più abituato ad agire da quinto che da terzino di una difesa a 4 e perché Samardzic, qualora dovesse effettivamente vestirsi d’azzurro, potrebbe certamente essere uomo capace di creare gioco e pericoli sulla trequarti, in un ipotetico 3-4-2-1 dagli antichi richiami partenopei (Hamsik-Lavezzi alle spalle di Cavani). Sarà questione di coraggio: De Laurentiis, con l’assunzione di responsabilità di fine 2023, potrebbe aver dato indirettamente a Mazzarri il via libera per una prima rivoluzione di inizio anno, necessaria per dare una scossa a una squadra apparentemente incapace di scrollarsi di dosso il peso di un tricolore che pare lontano un secolo. Cambiare, a questo punto, non avrebbe più il sapore di un capriccio del tecnico, quanto una necessità: per ritrovare il miglior Kvaratskhelia, per aspettare Osimhen, per provare a sentirsi ancora vivi. E per tornare a vedere Mazzarri fare Mazzarri.
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