Il Foglio sportivo
Angelo Lorenzetti, l'uomo che allena pensieri e schiacciate
L’ultimo vincente del volley con Perugia: “Sono un po’ orso e un po’ marinaio”. E su Bonaccini dice: "Con Schlein ha giocato di squadra, non se n’è andato quando ha perso"
L’ultima vittoria italiana del 2023, nel volley, l’ha fatta succedere lui. Angelo Lorenzetti è l’allenatore che con la sua Perugia si è portato a casa il campionato del mondo per club battendo in finale i brasiliani del Minas. Fosse solo questo però, uno andrebbe più cauto. Invece Lorenzetti è anche il tecnico che ha vinto gli ultimi due trofei di club in ordine di tempo, la Supercoppa (sempre con Perugia) e lo scudetto (nella sua ultima apparizione sulla panchina di Trento) diventando anche l’unico allenatore campione d’Italia con tre squadre differenti (Modena, due volte. Piacenza e Trento). Si aggiusta gli occhiali blu elettrico e poi risponde: “Sarà che insieme ad Anastasi e Travica sono il tecnico di Superlega con più anni. E io, a differenza loro, non ho mai lavorato all’estero”. Sarà. Ma è più probabile che sia anche per una spiccata capacità di allenare i pensieri, oltre le schiacciate. “Il linguaggio non è mai neutrale e nessuno può pensare di essere più forte delle parole, sia quando le pronuncia che quando le riceve. Per questo bisogna far attenzione a dire che i miei ragazzi sono Campioni del mondo, quando hanno disputato un torneo con sei squadre…”. Uno lo pensa umile, invece è solo onesto, che è qualità decisamente migliore.
Classe 1964, nato e cresciuto a Fano, a maggio compirà 60 anni. Ma non glielo ricordate. Non ama i compleanni, figurarsi le feste. “Sono un po’ marinaio. E un po’ orso, come mio padre. Lavorava in banca tutta la settimana ma dal sabato pomeriggio e per le trentasei ore successive mi portava a vedere tutti gli sport nei dintorni”. Che poi una carriera in banca era toccata anche a lui: 8 anni alla Cassa di risparmio di Fano. Quando ha deciso che avrebbe mollato il posto fisso per dedicarsi anima e corpo al volley ha guidato fino a Bologna. Lì abitava Emanuela, sua sorella. “Aveva sette anni più di me, non abbiamo mai litigato in tutta la nostra vita, avevamo un rapporto forte, mi offriva punti di vista diversi, perché le donne vedono diversamente da noi maschi. Infatti mi diceva che non sono umile per niente. Quando é morta, dieci anni fa, ho capito l’importanza del lasciar andare. Dobbiamo insegnarlo anche ai ragazzi, a scuola, in palestra”. Oggi sul polso destro ha un tatuaggio in sua memoria. Anche sua figlia si chiama Emanuela, ha 18 anni e ama il teatro. Il suo idolo sportivo è Marcelo Bielsa, allenatore argentino di calcio. “Perché vive la professione in maniera totale e va sempre all’attacco. Come piace a me. Le mie squadre a volte sprecano, ma devono essere aggressive, non sono un attendista”.
A margine dell’estate azzurra aveva preso le difese di Mazzanti, suo concittadino, uscito malamente dall’avventura con la Nazionale femminile, commentando che non aveva centrato la qualificazione olimpica tanto quanto la Nazionale maschile di De Giorgi. Solo che il primo era stato crocifisso, il secondo andava in giro per l’Italia a presentare libri. “Ma io non ho difeso l’uno o accusato l’altro. Io ho chiesto onestà nei confronti dei giudizi che si esprimono”. D’altronde sono pochi i colleghi che possono vantare la sua amicizia: “L’esperienza all’interno dell’Associazione allenatori mi ha allontanato dagli allenatori e sì oggi ho pochi rapporti intimi con loro”. Mentre ha un legame fortissimo con la pallavolo, proprio con lo sport. “Sono orgoglioso di essere uno sportivo, nelle palestre si vivono quotidianamente situazioni che aiutano le persone ad essere cittadini migliori. Se ci fosse un tavolo di esperti per migliorare l’umanità, uno sportivo dovrebbe sedersi a pieno diritto. E’ un mondo che insegna ad accettare un torto, a scegliere le parole da usare dopo una vittoria e soprattutto dopo una sconfitta”.
Eppure non risparmia critiche. “Quando succede qualcosa nel mondo, la pallavolo si deve rapportare con quella cosa lì, non si deve tenere fuori la politica per poi entrarci quando fa comodo. O al contrario, quando un giocatore si infortuna c’è ancora la vecchia convinzione che non si deve dire. Ma lo sport è collegato a quello che succede fuori”. E, a proposito di politica, definisce il comportamento di Bonaccini “sportivo” nei confronti della segretaria del Pd, Schlein: “Ha giocato di squadra, non se n’è andato quando ha perso”. Le idee chiare non gli mancano, come quelle sul tanto chiacchierato “doppio incarico”. Può un allenatore di club guidare anche una Nazionale? “Per me no. Intanto per un principio di solidarietà, perché se alleniamo tutti, siamo tutti più contenti. E poi perché dovremmo essere considerati una risorsa da parte dei nostri club. Mi spiego: le società dovrebbero diventare società di servizi, dove i servizi sono i talenti degli staff che la compongono e che possono fornire le loro competenze portando in giro il verbo della pallavolo. E tramandare i saperi, invece ci sono gli stessi dirigenti da anni”.
Farebbe proseliti. Peccato che non sia neanche sui social. “Li ho chiusi durante il Covid, ci mettevano gli uni contro gli altri”. E su Velasco nuovo Ct della nazionale femminile? “A 71 anni è ancora l’unico con cui faccio le 4 di mattina a parlare di pallavolo. Ha una capacità di analisi unica”. Chissà che prima dei settanta - lui che ricorda un fidanzato di Carrie Bradshaw (“veramente mi dicevano che ero uguale all’ex presidente francese Sarkozy”) - gli offrano anche la panchina della Nazionale…