Il Foglio sportivo
Sta arrivando Andrea Kimi, ragazzo del futuro
Il figlio di Marco Antonelli, speranza dell’automobilismo, dice al Foglio: “Papà mi ha fatto soffrire, ma mai come Verstappen”
Il ragazzo del futuro ha la voce delicata di chi deve ancora farsi uomo, ma ha pure le idee chiare. Kimi Antonelli che diventerà maggiorenne il 18 agosto è qui per correre più veloce degli altri come gli è riuscito finora: nelle ultime due stagioni ha vinto 34 gare sulle 59 corse. Due volte campione europeo di Kart nella categoria OK (2020, 2021), in monoposto ha conquistato i titoli di Formula 4 ADAC, Formula 4 italiana, Formula Regional Middle East e Formula Regional Europea. Quest’anno debutterà in Formula 2 con la Prema che è probabilmente la miglior squadra del mondo, quella che ha fatto correre e vincere tutti i grandi piloti dell’ultima generazione, Leclerc compreso. Kimi è figlio d’arte (suo padre Marco ha corso e vinto nel Gt e ora gestisce un suo team) e soprattutto è sotto contratto con la Mercedes da quando aveva 13 anni. Una vita da corsa: “La prima volta che sono salito su un kart avevo cinque anni e mezzo. Mio padre, che mi portava spesso con lui e mi aveva già fatto respirare l’aria dei motori, mi mise al volante e mi sono appassionato subito. Da quel giorno ho incominciato a girare sempre più spesso, poi ho partecipato alle prime gare e non mi sono più fermato salendo anno dopo anno di categoria fino ad arrivare fin qui…”. D’altra parte con quel nome che altro poteva fare. In realtà il nome completo è Andrea Kimi: “Mi piace come nome e ormai tutti mi chiamano così. Sono rimasti in pochi quelli che mi chiamano Andrea…”. Da chi lo abbia preso è chiaro. “Bello portare il nome di Raikkonen. Mi è sempre piaciuto il suo modo sincero di porsi”. Colpa di un amico di papà, Enrico Bertaggia, pilota anche lui, pure in Formula 1 che lo suggerì. “Mio padre in realtà è un grande fan di Gilles Villeneuve, mi ha parlato tanto di lui. Il mio pilota preferito invece è Senna, mi sono avvicinato ad Ayrton leggendo su di lui e rivedendo le sue gare. Mi piace per il pilota che era, per come curava i dettagli e cercasse sempre di migliorarsi. Ma mi piace anche l’uomo Ayrton: era empatico, aiutava molto i più bisognosi, è stato una grande persona in pista e fuori. Per me essere un grande pilota non significa solo avere successo in pista, ma farsi amare anche dalla gente. Gli unici ad aver successo nel motorsport anche come persone per me sono stati Valentino e Ayrton e adesso forse Lewis che sto seguendo da vicino e vedo quanto piace alla gente”. Quando ha firmato con la Mercedes ha avuto l’occasione di incontrare Lewis, frequentare il team. Toto Wolff recentemente ha detto che gli affiderà suo figlio Jack per insegnargli a guidare i kart, ma in realtà l’idea è di affidargli la Mercedes del futuro. Vedremo. Per ora deve far bene in Formula 2. Un anno, magari due. Poi si vedrà. È la grande speranza dell’automobilismo italiano, ma come dice lo stesso Toto “lasciamolo crescere”.
Ad aiutarlo ci pensa papà che non è duro come quello di Verstappen, ma sa come migliorarlo: “In certi momenti, soprattutto quando correvo nei kart, è stato molto duro, non ai livelli del papà di Max che si racconta lo lasciasse in autostrada a un distributore di benzina se la corsa era andata male, ma è stato severo una cosa che da piccolo mi ha fatto un po’ soffrire. Ma poi ho capito che lo faceva perché vedeva delle potenzialità e voleva solo che le sfruttassi tutte. Adesso ripensando a quanto sia stato duro lo capisco e lo ringrazio perché mi ha aiutato tanto”. Che cosa gli ha insegnato papà? “Ha cercato di trasmettermi tutto quello che sapeva, tutta la sua esperienza e mi ha consigliato come comportarmi nella battaglia in pista, come muovermi nell’ambiente. Mi aiuta nei momenti difficili, anche in pista durante un weekend, sa dirmi cosa fare. Sono contento quando è in pista con me perché è importante avere una persona che mi aiuta come lui”. Mamma invece è più discreta: “Anche lei mi segue in pista, ma è un po’ meno “ingombrante”, sta un po’ più sulle sue e non mi vuole disturbare. Non è presente come mio padre, ma mi piace sentirla vicina in pista”. Una famiglia da corsa. Di quelle di cui si sente parlare soltanto bene. Senza gli eccessi di un papà Verstappen o un papà Agassi: “Correre prima in kart e poi in auto era davvero l’unica cosa che mi piaceva fare, ho giocato un po’ a pallone, ma non mi ha mai interessato troppo… dopo aver visto The Last Dance mi sono messo a seguire l’Nba e ogni tanto vado a vedere la Virtus, ma per il resto solo auto, anche con gli amici al simulatore o alla Play Station”.
Hamilton ora è un modello: “Mi piace vedere come lavora con il team. Avere armonia è importante per ottenere i risultati migliori”. Ayrton un’ispirazione: “Sono un credente e qualche volta vado in chiesa”, dice pensando al misticismo di Senna. Anche se magari si fermerebbe un attimo prima di arrivare ad un duello come quello tra Ayrton e Prost: “In una rivalità cerco sempre di pensare a me stesso, di migliorare il più possibile. Al resto ci penso poco. Puoi avere un avversario che ti dà più fastidio degli altri, ma è parte del motorsport. Credo che l’unico modo per andare avanti sia concentrarsi su se stessi per migliorarsi”. Quando lo hanno chiamato dalla Mercedes proponendogli di metterlo sotto contratto ha capito che cosa stava succedendo. Ma non ha pensato di essere arrivato, anzi: “Ero molto contento, sapevo di avere una bella chance, una cosa che non capita a tutti. Sono consapevole di quanto credano in me e capisco quanto lavoro stiano facendo per aiutarmi ad arrivare dove sogno di arrivare”. Dove voglia arrivare è chiaro. Per ora preferisce pensare alla Formula 2, la sua priorità, anche fisicamente più tosta. “Come pilota concentrarmi su me stesso non penso troppo al resto cerco di scherzare con il team, creare armonia, l’ho imparato guardando Lewis… Sono un pilota aggressivo e mi piace molto correre sul bagnato. Come ragazzo invece mi definisco un ragazzo semplice. Mi piace stare con gli amici dopo la scuola e lo studio quando non sono in pista”. Frequenta il quarto anno del Salvemini a Bologna, studia Relazioni internazionali e marketing: “I professori sono molto bravi e mi aiutano capendo il mio impegno sportivo. Io mi porto i libri in trasferta e ogni tanto studio in albergo. Finora ce l’ho fatta. Sono bravo soprattutto in inglese, ma perché lo parlo anche in pista”. Un ragazzo già maturo che ha già avuto il suo momento duro quando nella finale del Mondiale kart (“mi spiace non averlo mai vinto”) si è spaccato tibia e a metatarso del piede sinistro: “Ho avuto paura nel 2020 quando feci un brutto incidente in kart che mi ha costretto a fermarmi per tanto tempo perché mi ero rotto un po’. Non sapevo se sarei tornato al livello di prima… Nel mio sport la paura ci sarà sempre, ma tu devi imparare a conviverci”. L’anno scorso ha visto morire in pista un ragazzo come lui, Dilano van 't Hoff. Ha capito una volta di più che il suo sport “è bello, ma anche pericoloso”. Kimi è andato a salutarlo al funerale, poi gli ha dedicato il titolo. Ha imparato a crescere a in fretta. Ed è solo all’inizio.