ritorni
A Dortmund Jadon Sancho spera di salvarsi dalla spirale autodistruttiva del Manchester United
L'attaccante era stato acquistato dei Red Devils nel 2021 proprio dal Borussia. In Germania aveva fatto benissimo, in Inghilterra è stato un fiasco. Ora torna in giallonero per ritrovare il se stesso perduto
Nella spirale autodistruttiva del Manchester United, un colosso mondiale che da anni trova modi sempre più spettacolari per fallire, Jadon Sancho è stato risucchiato quasi senza combattere, finendone stritolato, maciullato, evaporato. Il suo doveva essere il ritorno in grande stile in Inghilterra, dopo gli anni vissuti tra Watford e Manchester City e la fuga in Germania: adesso, invece, il rientro a casa sembra essere quello a Dortmund, luogo in cui aveva mostrato all’Europa del calcio sprazzi di grandezza. Saranno soltanto sei mesi e, a quanto pare, in prestito secco, ma per il talento classe 2000 avranno il sapore della boccata d’ossigeno, del ritorno tra facce amiche.
In giallonero aveva messo insieme numeri e giocate che avevano fatto urlare al miracolo, 37 gol in tre anni di Bundesliga giocando da esterno d’attacco, più una quantità imprecisata di assist: oltre 40, stando a chi si occupa di statistiche, anche se catalogare con esattezza un passaggio vincente risulta un esercizio alquanto complesso. Galleggiare nel disastro dei Red Devils del primo anno (quello di Solskjaer prima e Rangnick poi) si è rivelato impossibile per tutti, con ten Hag in panchina le cose sembravano andare meglio, poi la rottura, deflagrante, nel corso di questa stagione: l’esclusione dalla rosa prima della partita con l’Arsenal, un post polemico su Instagram (prontamente rimosso, come da tradizione) in risposta, quindi l’accantonamento definitivo dall’organico a meno di scuse che, evidentemente, non sono arrivate e lo hanno costretto a sentirsi ai margini, estromesso da tutto. Per settimane si è dovuto allenare da solo, senza nemmeno avere il permesso di accedere al centro di Carrington. Ma è presto, troppo presto, per alzare bandiera bianca e dire che di Sancho non c’è più niente da vedere, da scoprire, da sperare.
Classe 2000, talento cristallino, capace di essere devastante in campo aperto ma dotato anche di letture pregevoli alle prese con le difese schierate, ha qualità tecniche e fisiche fuori dalla norma. Ma il suo, anche nei momenti di maggiore ispirazione, è sempre stato un calcio fatto di lampi estemporanei e strappi incontenibili, certo, ma intervallati da lunghe pause e frequenti imprecisioni, frutto anche di una maturità calcistica che, alla luce dell’anagrafe, aveva ancora bisogno di materializzarsi. A un certo punto arrivò a dire: "La gente non vede l’ora che io cada per poter dire che sono stato solamente una meteora".
Il frullatore del Manchester United non lo ha certamente aiutato, anzi, ha dato ancora più forza ai suoi detrattori, che lo hanno effettivamente visto piombare in un tunnel apparentemente senza uscita. Da giovanissimo, la scelta di lasciare l’academy del Manchester City per tentare l’avventura in Germania era parsa a tutti una mossa di enorme personalità, una scommessa forte sulle proprie qualità. Adesso, nel momento più difficile della sua fin qui breve carriera, Sancho opta per qualcosa di totalmente diverso, un’inversione a U, una mossa decisamente più facile: tornare in quella che ha vissuto come una casa per provare a ritrovarsi, anche se soltanto per sei mesi, magari per riprendersi la maglia della Nazionale alla vigilia dell’Europeo. L’ultimo lo ha perso in finale, da protagonista negativo, sbagliando uno dei rigori che sono costati il torneo all’Inghilterra contro l’Italia, ipnotizzato da Donnarumma. Solo da qualche giorno aveva firmato per il Manchester United: un presagio nefasto di come sarebbe andata la sua avventura con i Diavoli Rossi.