José Mourinho al termine della finale di Europa League tra Roma e Siviglia (foto Ap, via LaPresse)

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La finale di Europa League tra Siviglia e Roma è stato l'inizio del tracollo per entrambe

Marco Gaetani

Gli spagnoli, che la coppa l'hanno vinta, stanno cercando di non retrocedere dalla Liga, i giallorossi hanno appena esonerato José Mourinho. A distanza di sette mesi e mezzo da quella partita nessuno avrebbe immaginato che le squadre sarebbero finite così in basso

Al momento del triplice fischio del discusso Taylor, con i giocatori stremati e chiamati alla risoluzione conclusiva dei calci di rigore, i tifosi di Roma e Siviglia non pensavano al futuro. Si immaginavano in festa per la vittoria della coppa o depressi per la sconfitta, non potendo prevedere l’esito di un qualcosa che da sempre, nella storia del calcio, sfugge a logiche di pronostico, ma il loro pensiero non andava oltre. Di sicuro, mai avrebbero potuto anche solo lontanamente prefigurare che a distanza di sette mesi e mezzo le rispettive squadre sarebbero finite in un burrone senza avere neanche il minimo appiglio da afferrare.

Nelle ore tumultuose segnate dall’esonero di José Mourinho, con la Roma nona in classifica e fuori dalla Coppa Italia, alle prese con una rivoluzione che pare solo anticipata rispetto a quanto sarebbe accaduto nella prossima estate, il paradosso è che i giallorossi non sono quelli messi peggio: la cavalcata europea di entrambe le squadre aveva soltanto nascosto la polvere sotto il tappeto, rimandando la resa dei conti. La vittoria ha portato la dirigenza del Siviglia a confermare in panchina José Luis Mendilibar, il ritratto dell’uomo medio, una carriera fino a quel momento abbastanza dimenticabile e un futuro tutto da scrivere e immaginare; la sconfitta, arrivata tra mille alibi legati all’arbitraggio, ha rinsaldato, se possibile, il legame ombelicale tra la Roma e Mourinho, andati avanti a dispetto dei santi e di un post partita che, invece, aveva fatto pensare a un imminente addio.

Siviglia-Roma, intesa come epilogo di un exploit continentale che in pochi avrebbero predetto, ha sfasciato due giocattoli in tempi rapidissimi, emblema di come nel calcio possa bastare una folata di vento per cambiare scenari apparentemente immutabili.

Gli andalusi hanno già visto tre allenatori alternarsi in panchina: Mendilibar è durato poco, fino all’8 ottobre, e il suo successore Diego Alonso anche meno, silurato il 16 dicembre. Ora in sella c’è Quique Sanchez Flores, uno che non indovina una stagione ad alto livello dai tempi dell’Europa League vinta alla guida dell’Atletico Madrid, correva l’anno 2010, un paio di ere calcistiche fa. Ha perso tre delle quattro partite di Liga dal suo arrivo, mantiene un misero punto di vantaggio sul Cadice terzultimo, è alle prese con uno scenario desolante peggiorato dal tracollo in Champions League, che ha visto il Siviglia andare così male da non riuscire neanche ad aggrapparsi all’amuleto della retrocessione in Europa League, chiudendo all’ultimo posto nel girone.

La Roma, infiammata dall’arrivo estivo di Lukaku, si è via via dissolta fino allo psicodramma delle ultime settimane: la resa totale nel derby di Coppa Italia ha rappresentato ben più di una semplice eliminazione nei quarti di finale, dando indirettamente ragione alle parole pronunciate da Sarri nel prepartita (“Non ci interessa il passaggio del turno in Coppa Italia. A noi interessa il derby per la nostra gente”). Erano state viste come l’ennesima provincializzazione di una rivalità che fuori dal Grande raccordo anulare è osservata con stupore e scetticismo, invece avevano centrato il punto: il valore del derby oltrepassa tutto il resto, crea squarci difficili da ricomporre. I Friedkin hanno messo insieme i numeri (terzo monte ingaggi della Serie A, nono posto in classifica), hanno dato un’occhiata al calendario (Verona-Salernitana-Cagliari nelle prossime tre) e si sono decisi ad accelerare un processo che pareva comunque inevitabile. Al triplice fischio di Taylor, in una notte a cavallo tra maggio e giugno, nessuno ci avrebbe scommesso un euro.

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