Olive #21
Mike Maignan non fugge dalle responsabilità
Il portiere del Milan è uscito dal campo dopo gli insulti razzisti da parte dei tifosi dell'Udinese. Lo ha fatto perché uno i palloni li può anche respingere ma le offese e i suoni gutturali no
Mike Maignan sognava di essere Steven Gerrard. Poi chissà perché ha iniziato a fare quello che i giocatori come Steven Gerrard detestano più di ogni altra cosa: uno che con le mani è capace di smorzare urla di gioia e scrosci d’applausi. La decisione di fare il portiere difficilmente viene presa con lucidità, mai facendo un’analisi approfondita di costi e benefici. È qualcosa che accade, come certi incontri che la vita ci mette davanti. È il cuore a contare. Quando accelera vuol dire che qualcosa di buono c’è. E star lì a mettere sulla bilancia costi e benefici si trasforma in una cosa accessoria, mai determinante.
Mike Maignan si è messo i guantoni un giorno e non sappiamo il perché, ma lo ha fatto. Si è subito trovato bene e bene si sono trovati quelli che lo avevano alle spalle. Para, ha sempre parato, tanto e bene, anche quei tiri che è più facile che gonfino la rete che essere respinti. Per questo lo considerano tra i migliori al mondo. Perché certi palloni li prende più degli altri. I tifosi del Milan lo hanno capito subito, sono bastate pochissime partite.
Stare in porta è una questione di riflessi, senso della posizione e muscoli esplosivi. Il resto sono abilità che ogni portiere ha e che contano meno di quello che si pensa. Non c’è portiere che non sappia tenere i nervi saldi, non c’è portiere che non sappia prendere su di sé più responsabilità di quelle che dovrebbe accollarsi. O almeno, non tra quelli che giocano nei principali campionati al mondo, comprese le seconde categorie.
Mike Maignan, suo malgrado, si è però dovuto prendere la responsabilità di far capire che ne ha le scatole piene di quell’idiozia enorme che sono i buuu e i versi scimmieschi indirizzati ai giocatori neri. Ha lasciato il campo dello stadio di Udine, perché in fondo non c’era niente altro da fare se non lasciare il campo. Ha lasciato il campo perché uno i palloni li può respingere ma le offese e i suoni gutturali no. Quelli non ci sono né mani né riflessi che possono prenderli.
Mike Maignan sabato sera è uscito dal campo e non voleva rientrare per continuare a giocare in Udinese-Milan. Perché ha sentito qualcosa che nulla ha a che fare con il suo essere calciatore o tesserato per una squadra. Fossero arrivati per quei motivi gli insulti, un professionista ha il dovere di incassarli, incazzarsi magari, ma non farla tanto lunga. Gli insulti non erano arrivati per quello però. Erano arrivati per qualcosa che con la maglia che aveva addosso non c’entrava nulla.
C’è chi ha commentato che doveva rimanere fuori. Per dare un segnale. Chi diceva che era meglio che non uscisse proprio, che doveva ignorare e basta. Per dare un segnale. Ci sono troppi segnali da dare e nemmeno una guida a cui attenersi. Perché in fondo Mike Maignan è un uomo, oltre che un portiere, e un uomo ogni tanto può sentirsi attaccato per l’uomo che è e non per l’essere portiere del Milan.
Senza dover pensare ai segnali da dare. Senza dover finire ancora al centro di giudizi che non ha richiesto.
I portieri hanno le spalle grosse e la capacità di non fuggire alle responsabilità. Questo sempre. In certi casi però sarebbe meglio non aggiungere responsabilità a responsabilità.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. La prima giornata è stato il momento di Jens Cajuste (Napoli). Il secondo appuntamento è stato dedicato a Luis Alberto (Lazio); nella terza giornata vi ha tenuto compagnia Ruggiero Montenegro con Federico Chiesa (Juventus); nella quarta è stato il turno di Andrea Colpani (Monza); nella quinta di Romelu Lukaku (Roma); nella sesta è sceso in campo Yacine Adli (Milan); la settima puntata è stato il momento di Albert Gudmundsson (Genoa); nell'ottava di Giacomo Bonaventura (Fiorentina); la nona ha visto scendere in campo Zito Luvumbu (Cagliari); la decima Matias Soulé (Frosinone); e nell'undicesima Riccardo Calafiori (Bologna); la dodicesima invece è stato il momento delle parate di Etrit Berisha (Empoli); la tredicesima è stata l'occasione per conoscere meglio Jeremy Toljan (Sassuolo); la quattordicesima ha visto segnare Lorenzo Lucca (Udinese), la quindicesima invece ha raccontato la crescita di Joshua Zirkzee (Bologna); nella sedicesima ha vestito la maglia di Olive Lautaro Martinez (Inter); nella diciassettesima si corso su e giù sulla fascia con Pasquale Mazzocchi (Salernitana); nella diciottesima è stato il momento di Matteo Ruggeri (Atalanta); nella diciannovesima quello di Ivan Ilic (Torino), nella ventesima abbiamo seguito le azioni di Sandi Lovric (Udinese). Trovate tutti gli articoli qui.
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