(foto EPA)

a melbourne

Tutti gli uomini di Sinner. La seconda semifinale slam è anche della sua “famiglia”

Luca Roberto

L'altoatesino si presenta al penultimo atto degli Australian Open senza aver perso un set. Le ragioni dei successi (che vengono da lontano) e i meriti del suo team. Ora la sfida a Djokovic

L’aveva detto anche al termine della scorsa stagione, dopo la finale a Torino e la vittoria della Coppa Davis: “Il mio team per me è come una famiglia. Ognuno di loro è fondamentale”. E poco importa che la famiglia vera, padre cuoco e mamma cameriera, abbia preso a farsi vedere sugli spalti infoltendo la squadra. Per questo il primo pensiero di Jannik Sinner, dopo aver stretto la mano ad Andrej Rublev, a cui non ha lasciato neppure un set, e dopo aver guadagnato la prima semifinale della sua carriera agli Australian Open, è stato per il suo angolo: “C’è feeling, quando vinciamo siamo più felici ma stiamo bene insieme sempre. Il lavoro sta pagando”. E insomma aveva pianificato tutto. A partire dalla costruzione di una combriccola di persone “di cui mi fido, a cui posso raccontare tutto”, che lo portasse lassù, non solo a contendere i trofei più importanti ma a completarsi come uomo, sin da quando ha avuto il coraggio di lasciare Riccardo Piatti, il maestro che lo aveva cresciuto. Fu straziante come può esserlo congedarsi dal primo amore.   

 

E pensare che tutto era cominciato proprio allo slam australiano: due anni fa Sinner venne scherzato da Tsitsipas agli ottavi di finale e decise che era il momento di stravolgere tutto. Di affidarsi alla guida di Simone Vagnozzi. Una scommessa, visto che il marchigiano si era sì spinto fino alle semifinali del Roland Garros assistendo il non certo eccelso Marco Cecchinato, ma poco altro. E di inserire man mano sempre nuovi elementi, una squadra che adesso consta di otto professionisti. Si spazia dalla preparazione atletica e nutrizionistica di Umberto Ferrara, che cerca di sfruttarne al meglio la naturale dimestichezza aerobica. Al fisioterapista (di provenienza cestistica, avendo lavorato con la Virtus Bologna) Giacomo Naldi. E poi ancora l’osteopata Andrea Cipolla, che gli ha insegnato a “capitalizzare ogni gesto”. Per arrivare al mental coach versiliese Riccardo Ceccarelli. Uno che lo allena a resettare la mente a ogni punto, ad azzerare i rimpianti, la frustrazione davanti a ogni errore o caduta. Spiegando che all’interno del campo rettangolare le sofferenze possono essere momentanee, reversibili. Tutte qualità che si sono viste anche nella partita di oggi. Quando a un certo punto Jannik ha iniziato a toccarsi con preoccupazione gli addominali (a fine partita dirà: “E’ qualcosa che ho mangiato”). E però è riuscito a recuperare da 5-1 sotto al tie-break del secondo set, relegando Rublev al ruolo di eterno soccombente descritto dallo scrittore austriaco Thomas Bernhard.

 

La grande svolta di Sinner, però, si chiama Darren Cahill, cioè l’allenatore di Lleyton Hewitt, André Agassi, Andrew Murray, Daniela Hantuchova e Simona Halep, che lo segue dall’anno scorso ed è quello che gli ha fatto intensificare i “pugnetti” reiterati alla fine di ogni colpo, per darsi la carica con sguardo da predatore. Lo score, da quando c’è l’australiano, è impietoso: due semifinali su tre slam disputati. Son discorsi, questi legati al computer Sinner e al suo team, che hanno risentito di una nuova forza negli ultimi due mesi. Vi ricordate le critiche dei parvenu della racchetta, che avevano accusato l’altoatesino e gli altri compagni di Davis di non essersi presentati da Mattarella per la sfilata al Quirinale di fine dicembre? Ebbene, quelli erano giorni fondamentali per la preparazione alla nuova stagione. I suoi mai avrebbero distolto Jannik da una programmazione che viene studiata minuto per minuto. E suvvia, per i tennisti le ferie sono obbligate, tra fine novembre e inizio dicembre. Ora cosa hanno da dire coloro che già lo volevano sul patibolo per lesa maestà? Forse dovrebbero solo riconoscere che aveva ragione lui, come quando non volle giocare le qualificazioni di Davis per ricaricare le batterie e poi abbiamo visto com’è andata.

 

Il ragazzino coi capelli color carota dopo il sorteggio a Melbourne diceva sicuro (ma non spavaldo, quello è Holger Rune): “La semifinale voglio giocarla”. Ci arriva essendo l’unico tra i colleghi a non aver ancora perso un parziale per tutto il torneo. Di fronte si troverà il più forte tennista di sempre. Quel Novak Djokovic con cui ha giocato tre volte nel giro di una settimana un paio di mesi fa. E che soprattutto ha già sconfitto due volte, ma mai negli slam. Non scriveremo che ci arriva da favorito, perché quello dall’altra parte della rete ha nel salotto di casa sua 24 major e sarebbe un’eresia anche solo pensarlo. Ma quantomeno alla pari. Visto che oramai (insieme ad Alcaraz) si trova così bene a rivestire il ruolo di anti-Nole. Non dite più che è una sorpresa: perché Sinner e la sua “famiglia” avevano programmato tutto.

Di più su questi argomenti: