Il foglio sportivo
Ecco come Sinner si sta prendendo il mondo del tennis
Là dove c’era Djokovic ora c’è Jannik: nessuno risponde come lui. E gli altri cominciano ad avere paura
Prima di Novak Djokovic, in maniera indiscutibile quella di Andre Agassi era considerata la miglior risposta al servizio di tutta la storia del tennis. O almeno, del tennis moderno. Il giocatore di Las Vegas si piazzava lì poco oltre la linea di fondo campo, seguiva il movimento del servizio avversario. E bum: con puntuale scelta di tempo anticipava un movimento schietto del piatto corde della racchetta sulla pallina, rispedendola dall’altra parte della rete con un’accelerazione repentina. Per gli altri, era mortale. In questo preciso momento, dopo che ha battuto Djokovic in semifinale agli Australian Open, c’è qualcuno che potrebbe negare a Jannik Sinner il titolo di miglior risponditore del circuito? Chiamatelo pure la muraglia della Val Pusteria, che quanto più gli tiri forte più violentemente ti rimpalla. Come quando da piccolo, allenato da Riccardo Piatti, lo lasciavano per ore a schiaffeggiare di colpi il muro con una rete finta disegnata a metà altezza. Prova empirica se n’è avuta all’alba di venerdì mattina, quando immergendo qualche zolletta di zucchero nel caffè noi appassionati di tennis (e non solo) abbiamo sobbalzato, rischiando di macchiare le coperte e le federe dei cuscini. Ci siamo chiesti: ma da quand’è che l’altoatesino è diventato più forte del numero uno al mondo nel ributtare sempre la palla dall’altra parte, trasformando la difesa in contrattacco?
E così il roscio di San Candido, questo incrocio tra la mitezza sudtirolese di Andreas Seppi, la strapotenza di un Tomas Berdych e la precocità di Max Fisher, il protagonista del film di Wes Anderson “Rushmore”, con i tratti tricologici del famoso personaggio verghiano, ha voluto essere tutt’altro che un uomo di passaggio. E ha deciso che non aveva più senso rincorrere, restare alla mercé degli avversari. Sinner l’ha realizzato definitivamente nella finale di Torino: prese un doppio 6-3 da Djokovic ma soprattutto, diede l’idea di non aver il controllo della situazione. È per questo che s’è detto: basta. E da quella e da altre sconfitte ha cercato di trarre un insegnamento. Come a Wimbledon dell’anno scorso, dove secondo lui è avvenuto il vero passaggio alla fase adulta.
Facciamo un po’ di paragoni nobiliari. Per Federer il vero regicidio non coincise nemmeno con la prima finale Slam, conquistata nel 2003 a Wimbledon. Perché la sua carriera la svolta nei major la ebbe due anni prima, sempre sul prato inglese, quando si frappose tra Pete Sampras e l’ottavo titolo londinese. Per Rafa Nadal la prima finale nei quattro tornei più importanti non poteva non arrivare in quello che poi sarebbe diventato il suo giardino di casa, il Roland Garros, nel 2005. Prima di arrivare a giocare l’ultima partita contro l’outsider argentino Mariano Puerta, in semifinale dovette abbattere proprio Roger Federer, che nel frattempo era già numero uno al mondo da centinaia di settimane e la rivalità tra i due era già bella che germogliata. Mentre per quel che riguarda Djokovic, l’ultimo atto di un major lo conquistò dove in questa occasione s’è dovuto inchinare: a Melbourne, nel 2008. E a farne le spese, sempre nella penultima partita, fu lo svizzero. Che forse è in quel preciso momento che ha iniziato a pensare: ma vuoi vedere che per quanto sia forte, questi due, Rafa e Nole, alla fine mi supereranno pure? Com’è poi puntualmente accaduto.
Se c’è una cosa che Sinner ha imparato in questa sua nuova versione poco umana, da macchina sparapalline, è che nell’atto della risposta, del cercare di opporsi, mettere sempre la racchetta di fronte al colpo scagliato dall’alto, dall’altra parte del campo, c’è qualcosa dell’istinto ironico. Perché quando la sfera gialla ti sta per investire ti devi inventare qualcosa in una frazione di secondo. E almeno un po’ assomiglia all’attività di chi ha la “battuta” pronta. Finita la partita con Djokovic, quando gli hanno chiesto se volesse rivolgere un pensiero alla sua famiglia che nelle scorse settimane è andata a vederlo, ma poi ha preferito fare ritorno a casa, in montagna, lui ha risposto: “Vorrei solo dire buongiorno. Visto che in Europa sono le 8 e un quarto del mattino”. Poi ha preso a scherzare sul fatto che, di lì a poco, “mi godrò l’altra semifinale con il massimo del relax. Sapete, mi piace guardare il tennis, sono un grande appassionato”. Strappando grandi risate dagli spalti. Non sapeva ancora quale sarebbe stato il suo avversario domenica.
L’Atp, l’associazione del tennis professionistico, qualche anno fa ha calcolato scientificamente chi sono i giocatori attualmente in attività che rispondono meglio, per numero di game vinti in risposta, palle break trasformate e via dicendo. Oltre agli scontati Nadal e Djokovic, e alla sorpresa Schwartzman, vi figurava anche Daniil Medvedev. E cioè quello che si troverà di fronte adesso, il russo capace di rimontare Alexander Zverev (altra grande storia di resurrezione) da due set sotto e di portarsi in finale dopo più di quattro ore di pallate da una parte e dall’altra. Pure lui, che ha vinto un solo Slam in carriera, agli Us Open del 2021 uccise il sogno, covato da Djokovic, di vincere tutti e quattro i tornei principali nello stesso anno. Il serbo finì la partita in lacrime, con gli asciugamani in faccia. Per anni con Sinner ha sempre vinto. Ma dallo scorso novembre ci ha perso tre volte in poche settimane. L’italiano a Pechino ha guardato anche lui e ha realizzato che con un giocatore così strano non poteva più semplicemente stare ad aspettare che piovessero errori. Sono io che devo dare le carte, s’è detto.
Volutamente, per una questione di scaramanzia, non abbiamo scritto prima come sono andate le prime finali Slam dei Big three. Anche allo spagnolo Carlitos Alcaraz l’esordio nelle finali tre set su cinque è andato allo stesso modo. Ma forse a Sinner, che in campo è cheto cheto, ma ha preso a sfoderare un ghigno guerresco, importa davvero poco dei precedenti. Gli basta andare a prendere il suo posto a fondo campo. Vedere la pallina che viene lanciata in aria, le corde che esplodono il colpo. E mettersi a rispondere. Spesso con dei sassi che atterrano negli ultimi centimetri di campo disponibili. Ora sono tutti gli altri che restano a guardare lui. Estasiati e un poco impauriti.