Il Foglio sportivo
La perfezione di Nadia Comaneci non è tutto
La sportiva è nella storia per i suoi 10 guadagnati durante le gare. Ma divenne leggenda anche grazie al sorteggio. Vera Caslavska e Nelli Kim sono la faccia meno nota di una medaglia indimenticabile. La storia
C’è una porta che una volta attraversata consente l’ingresso nella storia. E con lei anche l’elezione al ricordo perpetuo. Ce n’è un’altra, spesso molto vicina alla precedente, che non garantisce la medesima gloria imperitura. A volte conta essere il primo, altre il modo in cui la storia viene raccontata. Charles Lindbergh il 20 maggio del 1927 fece la prima trasvolata atlantica in solitaria. Partì vicino New York e atterrò nei dintorni di Parigi. Ci mise 33 ore e mezza. Fu il primo. Cinque anni dopo l’impresa fu ritentata e compiuta in poco più di 14 ore. Un tempo clamorosamente inferiore impiegato da un’aviatrice statunitense che partì da Terranova per arrivare in Irlanda del Nord. Ma di Amelia Earhart quasi nessuno conserva memoria (nonostante la sua impresa al tempo fu a lungo celebrata, soprattutto perché si trattava di una donna), mentre Lindbergh, nonostante qualche deragliata verso il pensiero del Führer, fu superato in onori solo dall’equipaggio dell’Apollo 11. E soprattutto è per sempre considerato “il primo”. Mentre Amelia non viene ricordata come “la prima” o la “più veloce di Lindbergh” ma, nella migliore delle ipotesi, come “la seconda”.
Lo sport offre alcuni clamorosi casi di doppiopesismo nella considerazione delle gesta di alcune atlete che hanno solo avuto la (s)ventura di un racconto diverso, oggi lo chiameremmo uno storytelling meno celebrativo. 18 luglio 1976. Il pannello elettronico riporta le parole Comaneci, Nadia, Romania. Di seguito il numero della pettorina, il 73. Dovrebbe essere già apparso il voto dei giudici dopo la sua uscita dalle parallele asimmetriche. Le sovietiche si aggirano con il volto corrucciato. Nadia è un po’ defilata, la coda di cavallo le cade sulla spalla e lei non sta guardando lo schermo con i voti. È il suo allenatore, Bela Karolyi, che si accorge per primo di quella strana scritta. 1,00. Ma che roba è? Nadia lo guarda e ripassa mentalmente tutto il suo esercizio. Si, certo, forse l’atterraggio dopo il salto mortale all’indietro non era del tutto stabile. Ma questa figliola cosa mai potrà aver fatto di male per meritarsi questo impietoso 1 su 10??? Bela la abbraccia, la avvolge al punto da fare scomparire quello scricciolo di soli 14 anni. “Non prendertela, faremo ricorso”, le dice più per posa che per reale convinzione.
Uno dei giudici, uno svedese, comprende che nessuno ha capito nulla. Si alza, va verso l’improbabile coppia Nadia-Bela. Il pubblico, diciottomila anime che avevano assistito con batticuore a quei volteggi perfetti, inizia ad applaudire. Tutti battono ritmicamente i piedi sulle tribune. Il giudice pronuncia qualche parola incomprensibile per il frastuono, ma con il linguaggio dei gesti tranquillizza la delegazione rumena. Quell’1,00 in realtà è un 10,0! Il pannello luminoso non smette di ruotare da sinistra a destra con quella cifra irreale. I rumeni continuano a guardare il giudice e a contargli le dita. Lui annuisce e le porta tutte e dieci aperte vicino al viso. È un dieci. Un 10!!! L’ingegnere addetto ai tabelloni elettronici tenta di scavalcare il muro di giornalisti e fotografi che si è accalcato attorno alla piccola farfalla di Romania per raggiungere il tavolo dei giudici. Non è accettabile che il primo 10 nella storia dei Giochi Olimpici venga mortificato da un irrispettoso 1,00.
Il Comitato Olimpico aveva tranquillizzato quelli della Longines nelle riunioni preparatorie a Montreal 1976. “Tanto il 10 nella ginnastica non esiste”, avevano detto. Ma la bambina aveva mandato tutto in tilt e l’imbarazzo si mescolava alla sensazione di una colossale figuraccia. Il terrore serpeggiava anche perché qualcuno del Comitato aveva iniziato a chiedersi se questa bimba non avesse intenzione di ripetersi a questo livello di perfezione anche alla trave o al corpo libero. Qualcuno tenta anche di mettere un dubbio nella testa dei giudici. “Non è che avete esagerato? Siete sicuri tutti sia stato perfetto?”, chiedono non senza una punta di presunzione acida. Niente ripensamenti, per i giudici quei passaggi tra una parallela e l’alta appartenevano a ciò che non è di questo mondo. Ovvero alla perfezione. Quaranta chilogrammi, 14 anni, nessuna forma apparente, i seni e le anche un tutt’uno con il body, i capelli raccolti con la coda.
Nadia Comaneci, la perfezione. I biglietti per la giornata successiva costano 16 dollari canadesi, ma dopo pochi minuti vanno via a non meno di 100. Il mondo è attraversato da una scarica mai vista grazie a questa ninfetta di Onesti, poco più di 50 mila anime nella regione storica della Moldavia rumena. Ogni cronista corre verso le cabine telefoniche per comunicare che “She’s perfect”, come titolerà il giorno dopo Newsweek. Un inviato dal Quebec conia “Nadiesco” come aggettivo da associare a qualcosa appannaggio degli Dei. Chi temeva potesse accadere di nuovo non era pronto per un nuovo miracolo. Nadia raggiunse la perfezione altre sei volte vincendo tre medaglie d’oro (oltre a quello alle parallele asimmetriche arrivarono quelli alla trave e nel concorso generale individuale). Ne arrivò una d’argento a squadre e una di bronzo al corpo libero. Il primo giorno di gara a Montreal aveva 14 anni, 8 mesi e 6 giorni. Da quel momento l’età minima fu alzata a 16 anni e anche per questo il suo record è diventato tecnicamente imbattibile. Quel giorno Nadia Comaneci entrò dalla porta giusta della storia. Almeno a livello di popolarità.
La sua vita privata ne sarebbe invece risultata sconvolta, il regime di Ceausescu padre e la bramosia di Ceausescu figlio ne avrebbero compromesso per sempre gli anni successivi prima della fuga verso gli Stati Uniti. Dalla parte meno celebrata della storia sono invece passate Vera Caslavska e Nelli Kim. Quest’ultima perché il giorno dopo la Comaneci mise sul tabellone la sua perfezione al volteggio e al corpo libero. Anche lei prese 10! Nelli, di padre originario della Corea del Sud e madre tatara, era una ginnasta sovietica con lineamenti asiatici e classe e talento cristallini. A Montreal portò due elementi mai eseguiti: lo tsukahara con avvitamento al volteggio e il doppio raccolto al corpo libero. Sono entrambi ancora oggi contenuti nel Codice dei Punteggi. Nelli, all’anagrafe Nellja Vladimirovna, ebbe una sola, ma decisiva sfortuna. Il programma olimpico viene deciso con un ordine di rotazione casuale. Se i suoi esercizi fossero stati sorteggiati prima di quelli della Comaneci il primo 10 della storia olimpica sarebbe stato suo. Si sarebbe consolata con tre ori e un argento mentre alle parallele asimmetriche, l’esercizio dello storico 10 della Comaneci, arrivò clamorosamente sesta. Ma soprattutto nessuno o quasi si ricorda della sua grandezza, oscurata per sempre dalla bimba rumena.
Ma chi soffrì realmente fu invece Vera Caslavska, la sportiva più decorata di tutta la fu-Cecoslovacchia. Sette ori e quattro argenti olimpici, giusto per fermarsi alla cristalleria più pregiata. Agli Europei del 1967 a Tampere (Finlandia) Vera sconvolse giudici e pubblico nove anni prima di Nadia Comaneci. Prese un rotondo 10 alla trave. Peccato che il tabellone esibisse un più modesto 1, senza il dubbio della virgola che avrebbe poi attraversato l’edizione di Montreal. È stata dunque Vera Caslavska la prima della storia ad aver sperimentato la visione di un voto clamorosamente diverso rispetto al suo merito perfetto. Lo fece in un campionato europeo e non in un’Olimpiade. Ma lo fece nove anni prima di Nadia.
La seconda porta meno celebrata nella storia di Vera riguarda le Olimpiadi di Città del Messico 1968. Quelle passate alla storia per l’8,90 di Beamon nel lungo ma soprattutto per il pugno guantato di nero esibito da Smith, primo, e Carlos, terzo dopo la finale dei 200 metri. Un’immagine entrata nella storia, un’istantanea che in pochi secondi ha colpito con un fendente al costato la parte d’America (e del mondo) ancora stoltamente convinta di una superiorità genetica. La “libellula bionda” aveva già vinto l’oro al volteggio e alle parallele. Alla trave venne invece letteralmente derubata dai giudici che assegnarono un punteggio controverso a dir poco alla sovietica Kuchinskaia, che conquistò l’oro subissata dai fischi del pubblico. Al momento della premiazione Vera tenne la testa volutamente abbassata, come Smith e Carlos, ma ovviamente senza pugno, durante l’esecuzione dell’inno sovietico. Lo smacco più oltraggioso arrivò però, se possibile, al corpo libero. Vera era stata semplicemente perfetta, il suo oro era apparso indiscutibile dopo un esercizio che aveva entusiasmato.
Ma i giudici decisero di aumentare in modo truffaldino il punteggio alla sovietica Petrik che si trovò così a conquistare a pari merito la medaglia più pregiata. Vera pagava a caro prezzo la sua firma al “Manifesto delle duemila parole” a sostegno di Alexander Dubcek dopo che l’Urss aveva messo i carri armati in piazza san Venceslao soffocando con la forza la Primavera di Praga. Il suo atteggiamento di protesta e sfida sul podio interpretò il grido di dolore di un popolo, la voglia di non accettare anche questo sopruso. Minimo, rispetto ad un’invasione violenta e sanguinaria, ma ugualmente portatore di un vento di libertà e giustizia. La sua vita, come quella di Smith e Carlos, non sarebbe più stata la stessa. Messa sotto indagine, le venne chiesto di togliere la firma al Manifesto. Il suo “niet” le causò l’esclusione perpetua dalle competizioni e l’impossibilità di diventare almeno allenatrice. Ma se i due velocisti yankee oltre che sul podio sono saliti nel pantheon di milioni di persone, di Vera si è persa traccia, fagocitata da un mondo opaco e impegnato a sopire ogni istinto di libertà. Ingressi diversi nella porta della storia.
Quello di Nelli Kim fu solo oscurato, quello di Vera invece maltrattato e solo anni dopo riabilitato. Entrambi finiti nel cono d’ombra della “piccola Nadia che non rideva mai”. Come per Anita Earhart, tanto più veloce di Lindbergh nel passare da sola sull’Atlantico quanto meno celebrata rispetto “al primo”.