Il Foglio sportivo
Quando il ciclismo svernava in Italia
Ora quasi tutte le squadre del World Tour si preparano in territorio spagnolo. Un tempo però non andava così e il nostro paese era il più apprezzato per la preparazione invernale. Storie di inverni pieni di campioni al sole di Sabaudia.
Erano i primi giorni di febbraio del 1959 e Claes Dornicke, uno dei giornalisti più noti della Vlaamse Radio en Televisieomroeporganisatie (Vrt), iniziò il suo approfondimento settimanale con un tramonto accelerato sul mar Tirreno (di “un’arancione accecante”, come raccontò nel servizio, anche se lo si vedeva in toni di grigio). Poi, dopo una dissolvenza in nero, le immagini mostravano una ruota che girava. Una musichetta ritmata seguiva una carrellata indietro che riprendeva un uomo che su di una bicicletta pedalava sui rulli. Stacco. Immagini di colline assolate, di strade sgombre. E biciclette. “I guanti e le sciarpe sono state lasciate in albergo e così anche le berrette di lana pesante. Il sole illumina Sabaudia e riscalda le ossa infreddolite da mesi di gelo fiammingo. È qui che Rik van Steenbergen e suoi compagni stanno preparando la stagione ciclistica che a breve inizierà”.
Rik van Steenbergen era all’epoca lo sportivo più amato del Belgio e per i fiamminghi era più importante del re. Nonostante sul trono ci fosse Baldovino, il sovrano più apprezzato dai belgi. E questo nonostante Rik van Steenbergen risentisse degli anni e fosse ormai quasi a fine carriera, ma in pista ancora vinceva e aveva festeggiato da poco il successo dell’ennesima Sei giorni di Gent, che era l’equivalente invernale della festa di popolo che era la Ronde (il Giro delle Fiandre).
Erano anni nei quali il ciclismo aveva aumentato le sue potenzialità economiche. La Peugeot non aveva badato a spese pur di assicurare al suo campione la migliore preparazione invernale possibile per centrare il grande risultato che Rik van Steenbergen non riusciva a ricentrare: la Milano-Sanremo. Quell’anno finì secondo battuto per pochi centimetri da Miguel Poblet. Fu la sua ultima Classicissima.
E il miglior posto per preparare la stagione era l’Italia, quel fazzoletto di terra tra Terracina e Sabaudia, “il luogo giusto per non soffrire il freddo in bicicletta”, o almeno secondo un volantino che iniziò a girare al Giro d’Italia dell’anno precedente. Forma un po’ naif di marketing turistico per destagionalizzare il turismo che da un paio d’anni era iniziato a essere non più solo un qualcosa riservato alle classi più abbienti della popolazione.
Certo non è che la Peugeot avesse così tanti soldi da investire per un ritiro in Italia. Aveva scelto una pensioncina tranquilla, fuori paese, a buon prezzo. Ancor più buon prezzo in quanto gestita dal sor Ermanno e soprattutto dalla sora Maria, che di cognome faceva Cerami ed era la zia di Pino Cerami, gregario di Rik van Steenbergen, emigrato da Misterbianco, provincia di Catania, in Belgio perché il padre non riusciva a mettere assieme il pranzo con la cena.
“Di quei giorni non ricordo molto, però una cosa non la scorderò mai. C’erano tantissime biciclette e mio padre mi diceva sempre che quando vedevo le biciclette ero contentissimo e ridevo sempre”, racconta al Foglio sportivo Antonello Palmacci, figlio del sor Ermanno. “Ho ancora una foto di me piccolo, avevo quattro anni, seduto sul manubrio della bicicletta di Rik van Steenbergen con al fianco Alfred de Bruyne, Pino Cerami, mio padre e Frans Schoubben”. Una foto che conteneva tre Campionati del mondo, due Milano-Sanremo, tre Giri delle Fiandre, quattro Parigi-Roubaix, quattro Liegi-Bastogne-Liegi, undici vittorie di tappa al Tour de France e quindici al Giro d’Italia.
“Ho passato infanzia e adolescenza a parlare con i campioni del ciclismo. Imparai il francese grazie Theodore Heen, che faceva il meccanico prima alla Peugeot, poi alla Faema e infine alla Flandria”. Se fu Pino Cerami a portare i compagni lì la prima volta, fu Theodore Henn a continuare a portare tutte quelle per cui prestava servizio. “Theo si innamorò di Gemma, che era mia cugina. Si sposarono e finirono a vivere a San Felice Circeo sino alla fine dei loro giorni”.
Alla pensione Maria “sono passati Rik van Looy, Guido Reybrouck, Roger de Vlaeminck e soprattutto Charly Gaul, che andava pazzo per la pasta ‘ncasciata che faceva mia madre e che andava via da Sabaudia sempre con qualche chilo in più”.
Dagli anni Sessanta a tutti i Novanta, tra gennaio e febbraio, nelle strade tra Sabaudia e Formia e dentro verso Sonnino, Fondi e Itri, “passava di qua gran parte del meglio del ciclismo mondiale”, racconta Raffaele Pasinato, che nel suo albergo i ciclisti li iniziò a ospitare nel 1965.
Allora nessuna grande squadra svernava in Spagna come accade oggi. “In queste zone in molti tenevano aperti anche d’inverno, perché, dicevano, c’era nulla di meglio dell’Italia per pedalare d’inverno. Ora invece? Ora non c’è più nulla. Le squadre vanno in Spagna perché lì è più sicuro, qui in Italia invece se ti muovi in bicicletta rischi di essere investito ogni volta”.
In anni di inverni sempre più caldi, quello del ciclismo in Italia è ormai congelato.