Serie A
Gilardino ha sistemato tutte le caselle del Genoa al posto giusto
Non è una squadra spettacolare, quella rossoblù, ma è tremendamente solida. E l'allenatore è riuscito a valorizzare al meglio i calciatori che aveva a disposizione
Non ruba l’occhio, il Genoa di Alberto Gilardino, trasposizione fedele di ciò che il suo allenatore era in campo. Per Gila segnare era un mestiere, una spinta innata: si nascondeva nelle pieghe delle partite più noiose e a un certo punto spuntava fuori, mortifero, inventando gol solo all’apparenza sporchi ma frutto di un’attesa spasmodica, di un lavoro mentale sfiancante. Erano reti di astuzia ed esperienza anche quando l’anagrafe ce lo raccontava come un ragazzo appena approdato ai massimi livelli, il meno appariscente dei ragazzi del 1982 considerando che l’altro era Antonio Cassano. Gilardino era nato il 5 luglio, proprio nel giorno in cui Paolo Rossi aveva preso a sberle il Brasile: anche lui avrebbe vinto il Mondiale, ma senza gli squilli di tromba del Pablito nazionale.
Arrivato alla panchina del Genoa in corsa, promosso ad interim dalla Primavera dopo la cacciata di Alexander Blessin, ha conquistato prima la conferma e poi la promozione in Serie A all’insegna delle cose semplici: non c’era nulla da inventare, bastava sistemare tutte le caselle al posto giusto. Forse per questo, per questa sua tendenza a non strafare, su di lui si addensavano nubi fitte alla vigilia del campionato: poteva davvero essere l’uomo giusto per una società che ha portato in rossoblù Retegui e Malinovskyi, gente di un livello superiore a quella della metà destra della classifica? Dopo 22 giornate, la risposta sembra affermativa.
Non è una squadra spettacolare, il suo Genoa, ma è tremendamente solida. E Gilardino sa riconoscere il talento, sa inserirlo in un contesto nel quale farlo fiorire. Nella centralità di Gudmundsson ci sono anche i meriti del tecnico, che lo ha reso una sorta di replica del Papu Gomez dei tempi dell’Atalanta: un po’ seconda punta, un po’ regista offensivo, un po’ esterno d’attacco, un po’ tutto a patto che il pallone passi dai suoi piedi, per chiudere la manovra in prima persona o per cucirla a suon di assist e dribbling. E ci sono i meriti di Gila anche nella crescita esponenziale di Dragusin, conteso dalle big d’Europa prima della scelta del giocatore di andare al Tottenham: il contesto del Genoa lo ha messo in vetrina, facendo troneggiare la sua forza fisica e la sua capacità di dominare l’area di rigore, portandolo a essere, nel giro di un anno e mezzo dall’arrivo a Genova, un difensore da 30 milioni di euro.
Ha tolto dalle spalle di Ekuban l’etichetta di oggetto misterioso, sta facendo viaggiare Retegui a medie realizzative rispettabili nonostante gli infortuni, alterna veterani in mediana (Badelj, Strootman, Thorsby) sapendo di poter contare su uno dei centrocampisti più interessanti di questa prima parte di campionato, il classe 2001 Frendrup, un altro di quelli valorizzati al massimo e che, realisticamente, tra qualche mese diventerà uomo mercato in grado di rimpinguare le casse societarie. Anche quando sembra a un passo dal naufragio, come nel primo tempo contro il Lecce, il Genoa trova sempre un modo per riportare la testa a galla: con i salentini ha cambiato il match grazie alle sostituzioni, modificando l’assetto tattico e dando maggior peso all’attacco con Ekuban vicino a Retegui. Si è adattato alla partita, rifuggendo il fondamentalismo in pieno ossequio alla scuola italiana. Non sarà il massimo dell’estetica, ma ai tifosi del Genoa importa il giusto: ben poco, dunque.