In morte di Barry John, il Re del rugby
È stato uno dei mediani d'apertura più forti della storia del rugby (non solo gallese). Compose, con Gareth Edwards, mediano di mischia, la coppia più ispirata della storia ovale
È morto il re. Anzi. È morto il Re. Il Re del rugby. Barry di nome, John di cognome, Galles di passaporto, 10 di numero. Era lui il Re del rugby. Ed è morto domenica scorsa.
Barry John era nato (il 6 gennaio 1945: e quel giorno fu una vera epifania) in un villaggio che, come tutti i villaggi gallesi, hanno dato la luce ad almeno un campione, un protagonista, un ambasciatore del rugby: per quel paesino a una quindicina di chilometri da Llanelli, lo era stato Carwyn James, prima giocatore, poi allenatore, in anticipo di vent’anni sul gruppo.
Barry John aveva talento: da Cefneithin a Llanelli, da Llanelli a Cardiff, intanto nel Trinity College, nel Galles, nei Barbarians e nei Lions, cioè il meglio del meglio, il meglio di Inghilterra, Irlanda, Scozia e soprattutto Galles, che in quegli anni era il paradiso del rugby, trincee minerarie per gli avanti, praterie dorate per i trequarti, e una fabbrica di numeri 10, i mediani di apertura, registi e calciatori, che inventavano il gioco e lo elevavano ad arte, superando addirittura – per la prima e unica serie nella storia – gli All Blacks in Nuova Zelanda.
A Cardiff e nel Galles Barry John compose, con Gareth Edwards, mediano di mischia, la coppia più ispirata della storia ovale. Se fosse stata musica, ed era rock: Lennon e McCartney. Se fosse stato ciclismo, ed era tandem: Bianchetto e Beghetto. Se fosse stata letteratura, ed era amicizia: Narciso e Boccadoro. Tra gli anni Sessanta e Settanta, Gareth Edwards e Barry John firmarono prodezze e acrobazie, regalarono sogni e visioni, perfezionarono imprese e miracoli, saziarono i nostri occhi e i nostri cuori. Gareth ricorda la prima volta che incontrò Barry: £Gli domandai dove volesse ricevere la palla e lui mi rispose: 'Tu la passi, io la prendo'. Ecco chi era Barry: tonnellate di fiducia e altrettanta abilità".
Per capire Barry John, tre storie.
La prima. Un appassionato gallese di rugby: "Guarda, c’è Barry John". Un appassionato inglese di rugby: "E allora, non è mica l’Onnipotente". L’appassionato gallese di rugby: "No, ma è ancora giovane".
La seconda. Barry John era richiestissimo per giocare nelle partite di esibizione, celebrative, amichevoli. Prima di una partita c’era questo cartellone: "Ingresso due sterline. Se Barry John gioca, dieci".
La terza. Anche se il suo soprannome era the King, i dirigenti gallesi cercavano di evitare che Barry John si montasse la testa. Quando John Dawes si ritirò da capitano del Galles, il nome di Barry fu fatto in lungo e in largo. Chi meglio di lui, chi più di lui, finché fu scritto che "questo è il giorno dell’incoronazione del vero Re". Barry telefonò a Clive Rowlands, a quel tempo manager del Galles, per confessargli le sue preoccupazioni, e Rowlands esagerò: "Non preoccuparti, non ti abbiamo neppure preso in considerazione".
Ci sarebbe anche una quarta storia. Barry John non solo era regale, ma anche divino. Ai gruppi di evangelisti locali, che anche attraverso i loro volantini domandavano "Che cosa faresti se Gesù Cristo tornasse sulla Terra?", i locali – il loro dio era ovale – rispondevano "Metterei Lui ala e Bryan Williams (stella degli All Blacks, nda) centro". Ma dopo il Tour dei Lions nel 1971, aggiornarono la risposta così: "I Lions lo hanno già preso e Lui gioca mediano di apertura". Proprio in quel tour, per fermare Barry John, gli avversari ricorrevano a un gioco sporco. E così, per manifestare il suo divino disappunto, mentre gli avanti montavano su di lui, Barry John si sedette sul pallone prima di calciarlo in touche.
Sì: era divino, anzi, più che divino. I fedeli predicavano e distinguevano: Cristo camminava sulle acque, Barry John ci corre. Finché un giorno, all’inaugurazione di una banca, un’impiegata s’inginocchiò davanti a lui, forse si fece anche il segno della croce. Troppo. Troppe aspettative, troppe pressioni, troppe responsabilità. E il Re abdicò. Aveva 27 anni.
P.S. Ho visto il Re. Incontrai Barry John nella sala stampa del Millennium a Cardiff. Fu un collega a indicarmelo. Non lo avevo riconosciuto. Se ne stava lì, seduto, da solo, la sua mezza pinta di birra e i suoi chili di troppo. Lo guardai abbozzandogli un sorriso rispettoso, quasi imbarazzato. Mi guardò donandomi un sorriso affettuoso, quasi complice. Allungai la mano, me la strinse. Però non trovai il coraggio per chiedergli l’autografo, magari sul programma del match. Due anni dopo, ancora a Cardiff, scovai un suo autografo in un negozio di libri di seconda mano e lo acquistai per poche sterline. La mia Sacra Sindone.