ciclismo
Il Gatto e l'Airone. Un secolo di Nando Terruzzi (e quella volta al Vel d'Hiv)
È stato uno dei più grandi interpreti delle Sei Giorni, ed era capace di restare in sella anche quando lo avresti visto già lungo e disteso, oppure riusciva a passare per un pertugio tra avversario e avversario prima di lanciarsi a capofitto verso il traguard
Era notte, una notte di marzo del 1952. Il Vel d’Hiv finalmente dormiva. Fino a poche ore prima era stato una bolgia di rumore e di musica. La musica era quella dell’orchestra sul palco, a centro pista. Il rumore la sinfonia dodecafonica dei tubolari sibilanti, degli schianti delle cadute e delle bestemmie dei pistard che sbrogliavano il groviglio di gambe e telai. Ma anche quello degli applausi e degli ooooh dei tifosi che si levava tra il fumo denso delle sigarette. Poi, una volta spente le luci sui tralicci della volta del velodromo, poco dopo mezzanotte tutto finiva. I giudici stilavano le classifiche di giornata, il pubblico sfollava, gli addetti alla kermesse mettevano tutto a posto e i ciclisti si ritiravano nelle cuccette, minimi separé di tramezzi di legno tra una brandina e l’altra: nel cuore della pista, la zeriba era un po’ locanda, un po’ accampamento.
Il regolamento delle Sei Giorni prevedeva che i concorrenti dovessero rimanere dentro il velodromo anche di notte. Tutti, o quasi. Quella notte Nando aveva appena preso sonno e sentì qualcuno che bussava al tramezzo. Una voce di donna sussurrò: "C’è Fausto?". Ma Fausto non c’era. Per Fausto Coppi gli organizzatori facevano un’eccezione. Terminata la serata – omnium, velocità, inseguimento, americana… - lui la notte la poteva passare al Grand Hotel.
Non era mica la sola differenza, tra il Campionissimo e tutti gli altri corridori. Pur di ingaggiarlo gli impresari di tutta Europa staccavano assegni che moltiplicavano le magre cifre siglate sui contratti di tutti gli altri pistard, seigiornisti di professioni, spericolati globetrotter delle pedivelle, bucanieri delle sopraelevate. Erano loro che in pista davano spettacolo, ma il nome di Coppi sul cartellone attirava il grande pubblico e faceva cassa. A Parigi Coppi aveva firmato un contratto di tre milioni e mezzo di franchi; tutti gli altri non ne guadagnavano meno di un terzo. Nelle sue clausole contrattuali il Campionissimo, oltre al fatto di non dover essere costretto a dormire su una brandina stretta e scomoda per sei notti, precisava anche un altro punto: essere messo in coppia con il miglior seigiornista in circolazione che lo avrebbe affiancato e pilotato al sicuro nelle rischiosissime battaglie di ruote e manubri. Il migliore in quegli anni, e per molti anni ancora a seguire, era lui: Ferdinando Terruzzi, per tutti il Nando, per la leggenda il “Gatto”. Perché come un gatto restava in sella anche quando lo avresti visto già lungo e disteso, oppure riusciva a passare per un pertugio tra avversario e avversario prima di lanciarsi a capofitto verso il traguardo. Di lui si diceva che sarebbe stato capace di guidare la bicicletta anche sul bordo di una vasca da bagno.
Terruzzi era nato a Sesto San Giovanni il 17 febbraio 1924, cento anni fa. A diciotto, nel 1942, era stato campione italiano allievi di velocità. Nel 1948, alle Olimpiadi di Londra, in coppia con Renato Perona aveva vinto la medaglia d’oro nel tandem. Professionista dal 1949 al 1966, era però nelle Sei Giorni che eccelleva. Tra il 1955 e il 1962 ne ha disputate 149, vincendone 25 – a Berlino, New York, Dortmund, Gand, Copenaghen, Parigi, Anversa, Buenos Aires, Melbourne, Montréal e, negli ultimi anni, anche nella “sua” Milano - , arrivando 32 volte secondo e 19 terzo e occupando molte volte il primo posto nel ranking mondiale della specialità. Ha corso nei primi anni in coppia con Severino Rigoni, suo maestro, e poi con i più grandi specialisti: Lucien Gillen, Reginald Arnold, Peter Post. Ma spesso veniva accoppiato anche ai grandi campioni della strada.
Quella sera al Vel d’Hiv nel marzo del 1952, correva con Coppi che del Nando aveva un’ammirazione sconfinata. Le prime volte che correvano assieme Fausto aveva molta paura. Avrebbe voluto correre sempre in testa, fuori da quella tonnara di gomiti e pedivelle. Nando gli spiegava che non era mica possibile fare un’intera Sei Giorni sempre in testa al gruppo. Con gli anni e con il magistero di Terruzzi, il Campionissimo imparò l’arte guerriera e ascetica di gettarsi nelle mischie senza timore, potendo così essere annoverato con merito nell’eletta schiera dell’“aristocrazia della pedivella”, come Mario Fossati chiamava la casta dei pistard.
Oltretutto Terruzzi del Fausto non aveva soggezione. Una volta gli fece notare come non era per niente d’accordo che lui guadagnasse così tanto di più di tutti gli altri; Coppi, come spesso gli accadeva coi compagni di squadra, si dimostrò generoso e comprensivo. Molto meno comprensivo fu quando fece una scenata al Nando perché aveva accettato di correre a fianco di Magni, che gli aveva offerto un cachet molto più cospicuo. Ma anche in quell’occasione il “Gatto”, senza peli sulla lingua, gli rispose che non c’era niente da recriminare: el mestée l’è el mestée e lui andava dove lo pagavano di più.
Però quella notte, al Vel d’Hiv, se solo fosse stato più pronto, o più furbo, nel rispondere in altro modo alla signora che aveva chiesto di Fausto, Nando Terruzzi avrebbe potuto guadagnarsi un bell’extra proprio grazie all’ignaro Coppi. "C’è Fausto?", aveva sussurrato quella voce che solo dal timbro prometteva paradisi di dolcezza e sensualità. Stropicciandosi gli occhi assonnati, Nando aveva borbottato: "Fausto non c’è. Ma se vuole c’è Nando". Ma come risposta ebbe soltanto un rumore di tacchi che si allontanava in tutta fretta. Ma quella notte il “Gatto” aveva troppo sonno per rimanere deluso. Mentre si rigirava rassegnato nella brandina, venne di nuovo disturbato dal massaggiatore che, non credendo ai propri occhi, aveva assistito alla scena: "Uè, Nando, ma te set no chi l’era quella lì? L’era la Gina, la Gina Lollobrigida!". Nando sacramentò pensando a Coppi, al suo contratto e pure alle belle donne che lo cercavano. A quell’occasione perduta, il Nando pensava spesso, anche negli anni prima di morire, il 9 aprile 2014, a novant’anni appena compiuti. Ma si consolava pensando che a perderci quella notte era stata anche la Gina che, con quel Gatto acrobatico nella brandina della zeriba, forse si sarebbe molto più divertita che con il Grande Airone.