Il Foglio sportivo
Manuela Leggeri, l'arma in più di Velasco: “Un regalo da lassù”
L’ex capitana delle Azzurre oro a Berlino sarà la prima donna (assistente) allenatore della storia della Nazionale seniores femminile a guida Julio Velasco
Pochi mesi prima di vincere il Mondiale del 2002, Manuela Leggeri trionfava in Coppa Italia con Modena. In quella finale tre allenatori su quattro erano donne: Simonetta Avalle, Manuela Benelli e Jenny Lang Ping. Unico uomo: Giuseppe Cuccarini. Oggi sembra fantascienza. Ma c’è una buona notizia: l’ex capitana delle Azzurre oro a Berlino sarà la prima donna (assistente) allenatore della storia della Nazionale seniores femminile. E non poteva che essere Julio Velasco a compiere questa rivoluzione. Benvenuti nella pallavolo 3.0, quella che colma un abissale gender gap con un nome che fa tornare i brividi a tutti.
“Il 2002 è stato un anno eccezionale – racconta Manuela Leggeri – ero all’apice della mia carriera e la vittoria del Mondiale me la ricordo come fosse ieri, la paura di essere eliminate alla seconda fase, il motto “Unite vittoria” nato da Simona Rinieri, la determinazione psicologica e la forza fisica che ci è cresciuta dentro nelle partite che contavano e che ci avrebbe fatto superare chiunque. Sì, sono stata fortunata a vivere quel sogno sportivo e oggi non vedo l’ora di contribuire alla causa di questa Italia, rimettermi la tuta azzurra e portare un mattoncino, il mio. C’è poco tempo, ma Velasco e i suoi vice, Barbolini e Bernardi sono dei tecnici da cui posso imparare tantissimo. Partiamo da zero, ma sono convinta delle grandi potenzialità della squadra, è l’anno olimpico e dobbiamo puntare al podio”. Da zero a cento.
Capelli corti neri, maglia numero quattro in onore dell’idolo Andrea Giani, Manuela Leggeri era l’anima calda di quella Nazionale, che prima dell’argento Europeo del 2001 e dell’oro Mondiale del 2002 – rimasto ancora l’unico – aveva avuto in panchina proprio Velasco per una breve parentesi. “Era il 1997 e anche se ci allenò per poco, Julio ci trasmise una mentalità vincente che non ho mai dimenticato. Poi accettò la sfida calcistica andando alla Lazio, ma io l’ho sempre seguito, ho le sue massime più famose scritte ovunque, è una persona che incanta e mi sento fortunatissima, oggi, a lavorare al suo fianco”. Se l’aspettava questa chiamata? “Assolutamente no! Non avevo neanche il suo numero. Quando è squillato il telefono non volevo nemmeno rispondere. Quando mi ha detto: “Sono Julio Velasco” mi sono ritrovata il cuore in gola. Gli ho detto: “ma tu lo sai dove alleno?”. Lui però mi ha tranquillizzata, in Nazionale porterò me stessa. Sono onorata e felicissima”. Manuela Leggeri quest’anno siede sulla panchina dell’Under 16 e della serie C di Piacenza e le sue “bimbe” come le chiama lei, sono state il ritorno alla vita dopo un periodo difficilissimo. “Prima il Covid, poi la malattia di mio marito e la sua morte. La mia vita si è fermata un anno fa. Però allo stesso modo continuava a scorrermi accanto e quando Piacenza mi ha cercata mi sono rimessa in cammino. Adoro allenare le ragazze perché provo a trasmettere quello che è l’essenza dello sport. Oggi devono imparare a fare un bagher, domani sarà superare un esame o fare un colloquio di lavoro e magari poi ci sarà una di loro a capo di qualcosa. Lo sport è la vita e dalla vita si impara. Quello che ha insegnato a me per esempio è che bisogna vivere il presente e mi piace pensare che la chiamata in Nazionale sia un regalo da lassù”.
Sono anni che in serie A le donne sono sparite da qualsiasi progetto tecnico. Perché oggi è così difficile fare l’allenatrice? “Io devo tutto a tre allenatrici: Stefania Ricci a Priverno, Simonetta Avalle a Roma che mi portò nella Capitale direttamente dalla serie D e Jenny Lang Ping, a Modena. Una che in Cina ha la sua faccia stampata sui francobolli. Ancora oggi in Italia le donne sono state abituate a pensarci due volte prima di lasciare i figli e andare a lavorare in giro per l’Italia o l’Europa. Per un uomo non è così”. La nazionale femminile è reduce da un’estate durissima, serve ricostruire il gruppo. “Ma chi sa realmente cosa è successo nello spogliatoio? Chi c’era? Di certo nessuno di noi. La verità la sanno solo loro, le giocatrici. E stiamo parlando di professioniste, non di bambine. Ho giocato insieme ad una giovanissima Monica De Gennaro a Vicenza, nel 2008 e conosco Caterina Bosetti perché è la figlia di Giuseppe, che ho avuto come allenatore e la sorella di Lucia con cui ho vinto a Piacenza. Ma le altre non le conosco”. Neanche Paola Egonu? “Neanche e prima di dare qualsiasi giudizio voglio incontrarla e parlarci. Sulla vicenda va capito quanto c’è di suo e quanto del movimento intorno a lei. Quello che so, però, è che Egonu è una delle più forti giocatrici del mondo”.
La nazionale femminile non ha mai superato i quarti di finale, ai Giochi. Eppure dal 2008 ha sempre avuto squadre molto competitive. “Capire i perché del passato non cambia le cose e oggi dobbiamo provare a scrivere una pagina tutta nuova. Intanto conquistiamo la qualificazione a Parigi”. Che consigli darai alle ragazze? “Che c’è bisogno sempre di tutte e che nessuna cade nel burrone se si forma una catena per aiutarla. E poi la cosa più importante”. E sarebbe? “Se lasciate parlare il campo, voi la bocca non dovete nemmeno aprirla”.
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