Olive #25
L'educazione calcistica di Matteo Pessina
Il capitano del Monza gioca e ragiona come un "noi". Non c’è in lui la volontà di primeggiare a discapito degli altri, è convinto che la squadra sia un amalgama di individualità che devono condividere il pallone e gli sforzi
Le prime volte che accadde, quando il pallone era fuori o lontano, lui guardava un po’ imbarazzato gli spalti che gridavano il suo nome, quasi a chiedersi se non avessero sbagliato i tifosi il soggetto dei cori. Non c’era nessun errore, quel nome e cognome scandito era il suo, Matteo Pessina, perché per loro, i tifosi, lui era il meglio che c’era in campo.
E Matteo Pessina in campo correva, pressava, recuperava palloni e poi cercava di dare ordine al gioco, di servire chi era più libero o meglio posizionato. E solo se vedeva l’opportunità di fare da sé, se il dribbling era funzionale a quello che voleva l’allenatore ecco che lo faceva, che puntava alla porta avversaria, tentando pure il tiro, ma solo se era a suo avviso la miglior cosa da fare.
Matteo Pessina gioca e ragiona, ha sempre giocato e ragionato, come un "noi". Non c’è in lui la volontà di primeggiare a discapito degli altri, è convinto che la squadra sia un amalgama di individualità che devono condividere il pallone e gli sforzi, nel quale il posto per l’affermazione personale non può mai arrivare a discapito degli altri, anzi può arrivare solo grazie agli altri.
Al braccio Matteo Pessina porta la fascia di capitano e per lui la fascia di capitano vuole dire soprattutto una cosa: dare il buon esempio. E così cerca a ogni partita di essere impeccabile in quello che fa. E quello che fa è praticamente ogni cosa nel centrocampo del Monza.
Dare il buon esempio ai compagni prima di tutto. Inseguire, contrastare, recuperare palloni e poi cercare di costruire l’azione dimostrando la necessità del farsi collettivo, di essere squadra. Poi viene il resto.
E il resto sono parole precise, segno di un ragionamento preciso. E dette a voce ferma, ma mai troppo alta, scandite con un accento lombardo evidente ma compassato. E con modi calmi, quasi gentili, sempre educatamente, diversi anni luce dallo stereotipo dei calciatori.
“In campo, per novanta minuti, si può giocare bene o male, ma alla base ci dev’essere sempre la sostanza. Avere rispetto della squadra, del mister, dei tifosi, della cultura del lavoro. Se ti comporti in un certo modo poi sei visto bene dagli addetti ai lavori, dai procuratori, dalla gente che ti segue. Secondo me questo è un aspetto ancora più importante dell’essere un fenomeno in campo”, ha detto a Francesco Paolo Giordano su Gq.
Matteo Pessina ha il piede educato, ha i modi educati e tranquilli di chi si conosce così bene e sa ciò che vale, non ha bisogno di cercare attenzione. Un giocatore del quale Giovanni Lodetti disse: “Sembra essere apparso dal passato. Ha il modo tranquillo di fare dei calciatori dei miei tempi e anche in campo si muove come si muovevano i centrocampisti degli anni nei quali giocavo. Non sto parlando di velocità di gioco o altre robe, solo di totale abnegazione alla causa, capacità di non accampare scuse. Questo ragazzo farà strada”. Era la primavera del 2021. Matteo Pessina di strada ne ha fatta. Ha vinto l’Europeo, poi ha imboccato quella che lo riportava a Monza, al Monza. La città e la squadra che aveva dovuto abbandonare nel 2015 a causa del fallimento. È tornato perché è casa sua, perché aveva promesso a se stesso che sarebbe tornato. Poteva andare altrove, ha preferito i suoi luoghi e senza recitare la parte di chi rinuncia a soldi e fama per scegliere le ragioni del cuore. È tornato perché il Monza è una squadra competitiva, che paga bene e nella quale può essere protagonista. Sempre a Francesco Paolo Giordano ha detto: “Ero stato acquistato dal Milan, e ad agosto di quell’anno scrissi un post, dicendo quanto fossi legato a Monza, ai tifosi. E aggiunsi: questo non è un addio, ma un arrivederci. Sette anni dopo, nemmeno così tanto tempo dopo, sono tornato. Perché ora, grazie al lavoro di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, considero il Monza una squadra di alto livello, di fascia alta in Serie A”.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Ecco i (non per forza) protagonisti di questa stagione: Jens Cajuste (Napoli); Luis Alberto (Lazio); Federico Chiesa (Juventus, raccontato da Ruggiero Montenegro); Andrea Colpani (Monza); Romelu Lukaku (Roma); Yacine Adli (Milan); Albert Gudmundsson (Genoa); Giacomo Bonaventura (Fiorentina); Zito Luvumbu (Cagliari); Matias Soulé (Frosinone); Riccardo Calafiori (Bologna); Etrit Berisha (Empoli); Jeremy Toljan (Sassuolo); Lorenzo Lucca (Udinese); Joshua Zirkzee (Bologna); Lautaro Martinez (Inter); Pasquale Mazzocchi (Salernitana); Matteo Ruggeri (Atalanta); Ivan Ilic (Torino); Sandi Lovric (Udinese); Mike Maignan (Milan); Tijjani Noslin (Hellas Verona); Mario Pasalic (Atalanta); Jonathan Ikoné (Fiorentina). Trovate tutti gli articoli qui.
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