Il calcio d'antan di Mazzarri e Gattuso non tira più
Il primo è stato esonerato dal Napoli, il secondo dall'Olympique Marsiglia. L’impressione è quella di due allenatori sorpassati dagli eventi, spazzati via da un tempo a cui non hanno saputo adeguarsi
Travolti da un insolito destino che li ha colti impreparati, Walter Mazzarri e Rino Gattuso si ritrovano a far i conti non tanto e non solo con l’ennesimo esonero – ci sta, ogni allenatore sa che è uno dei finali possibili – ma con una carriera che assume colori sempre più crepuscolari. Ed è subito sera, anzi notte fonda. L’impressione è quella di due allenatori sorpassati dagli eventi, spazzati via da un tempo a cui non hanno saputo adeguarsi. Una stagione che non hanno saputo leggere. Eppure, l’anagrafe pur marcando una distanza generazionale tra i due, dovrebbe esentarli da tale problema. Mazzarri con i suoi sessantadue anni non è poi così vecchio, Gattuso con i suoi quarantasei non può più ritenersi emergente. Il vecchio che avanza è stato ricacciato indietro, dov'era partito.
A Napoli pensavano che Walter potesse tamponare l’emergenza, ma le statistiche dicono che ha fatto peggio del tanto vituperato Garcia: il francese aveva lasciato il Napoli al 4° posto in zona Champions League, con Mazzarri la squadra è scivolata nell’anonimato di metà classifica, lì dove ogni considerazione è ininfluente ai fini del risultato. Il Marsiglia ha cacciato Gattuso dopo la sanguinante striscia delle sette partite senza vittoria e di un 2024 da incubo, e le scuse di Ringhio - cui l'onestà non fa difetto - sono sembrate la marca da bollo da 2 euro sul proprio fallimento: “Siamo senz’anima: abbiamo toccato il fondo, più in basso non si può andare”.
La verità – al netto delle differenze tra i due contesti – è che entrambi affondano le loro radici – e le loro idee – in un calcio vecchio, da declinare al passato: più del 3-5-2 poterono le frasi fatte e i luoghi comuni. Primo: non prenderle. Il Napoli non ha mai vinto con più di un gol di scarto, il Marsiglia non ha mai - eufemismo - entusiasmato per la brillantezza del gioco. E dunque “ci vuole più cattiveria”, e quindi “abbiamo perso per un episodio”. Spiace darne contezza, ma è come se sulla loro storia di allenatori – lunga e sostanzialmente solida quella di Mazzarri almeno nella prima parte, più rapida e senza picchi quella di Gattuso – fosse calata la polvere, una patina da stanza chiusa, tapparelle abbassate, strategie tattiche ipotizzate nella penombra.
Nella sua avventura da allenatore Gattuso in Serie A non è mai arrivato oltre il quinto posto, arraffato prima con il Milan e poi con il Napoli. Ringhio non è un allenatore da Champions, non l’ha mai meritata; e il suo ultimo peregrinare per l’Europa in squadre di fascia medio-alta – prima del Marsiglia c’era stata una frettolosa avventura al Valencia – è innescato più che altro da buone relazioni (non è una colpa) e dal ricordo del grande giocatore che è stato.
Mazzarri, per sua stessa ammissione, dopo gli anni contraddittori al Torino e il licenziamento al Cagliari, era sceso dalla giostra senza più biglietti in mano. Se dopo aver contribuito in maniera pesante alla crescita del Napoli - è stato lui a porre le basi della scalata - la tappa all’Inter gli è stata fatale, tanto più che - citazione - “e poi ha cominciato anche a piovere”. Era comunque il 2014, sono passati dieci anni, che nel calcio equivalgono ad un'era geologica. All’epoca uscì una sua biografia dal titolo fuorviante: “Il meglio deve ancora venire”. Palo. Il meglio – vale per lui e vale anche per Gattuso – è un ricordo più o meno lontano. Nel tramonto a cui si sono arresi, non vi è alcuna bellezza da considerare, di sicuro qualche rimpianto. Se appare impensabile chiedere ai due di guardare al futuro - non sembra risiedere nella loro posa - anche una sbirciatina al presente avrebbe fatto comodo per giocarsi meglio le proprie carte.