I troppi alibi di Maurizio Sarri sembrano quelli di Mou
La Lazio fatica: in Serie A ha raccimolato 40 punti in 26 partite, con 16 punti gettati al vento da situazione di vantaggio, e ha segnato 32 gol, il peggior attacco delle prime nove in classifica. E il tecnico cerca più giustificazioni che soluzioni ai problemi
Può una singola partita, per quanto importante, congelare i pensieri e i giudizi? Questo Bayern Monaco-Lazio incombente, nel quale un po’ a sorpresa i capitolini ripartiranno facendosi forza dell’1-0 dell’andata, ha messo la squadra di Sarri in una teca, in attesa di un parere definitivo su una stagione che per il resto, numeri alla mano, è ai limiti del tragico. In campionato i punti sono 40 in 26 partite, con la bellezza di 16 punti gettati al vento da situazione di vantaggio; i gol fatti sono 32, una miseria, e non c’è cessione di Milinkovic-Savic che tenga per spiegare il tracollo di quello che è il peggior attacco delle prime nove in classifica. Il livello del gioco, che nel corso dell’ormai quasi triennio di Sarri aveva pure visto momenti di discreta ispirazione non più tardi di un anno fa, è ai minimi storici: la Lazio tira pochissimo in porta e in nottate come quelle di Firenze è anche totalmente esposta alla fase offensiva degli avversari: andare negli spogliatoi del Franchi sull’inspiegabile risultato di 0-1 doveva essere visto come una mano offerta gentilmente dal destino, con la Fiorentina che in teoria avrebbe dovuto subire un contraccolpo psicologico, invece la Lazio è rientrata dal tunnel come se nulla fosse, finendo spazzata via ben oltre il 2-1 finale. Quel regalo della sorte, per esempio, contro il Torino aveva portato a tre punti insperati, dopo un primo tempo in cui granata avevano disposto a piacimento dei biancocelesti.
Maurizio Sarri, più che cercare soluzioni, sembra mettere sul tavolo solamente alibi, in una prassi che, un mese e mezzo fa, dall’altra parte del Tevere ha portato al siluramento di José Mourinho, senza però avere la vena teatrale del portoghese: “Mi viene il dubbio se abbiamo la struttura materiale e mentale per fare quattro competizioni”, ha detto dopo il ko di Firenze, aggiungendo con uno slancio di fantasia anche la Supercoppa Italiana al computo dei tornei che fiaccano la tenuta della sua squadra, ignorando che in Arabia Saudita la Lazio si è presentata ormai più di un mese fa fornendo una prestazione angosciante contro l’Inter, in un’altra di quelle notti in cui Ivan Provedel ha visto arrivare dalle sue parti avversari a getto continuo.
E mentre è iniziata la tradizionale caccia al colpevole, che da anni divide in fazioni chi ritiene sia colpa dei tecnici e chi colpa del presidente Lotito, quest’ultimo è uscito allo scoperto, affidando al Messaggero il suo punto di vista: “La rosa è forte e competitiva. Sarri si assuma le sue responsabilità insieme alla squadra, il mercato non c’entra nulla con il ko di Firenze e gli altri nove”. Sono infatti dieci, su 26 partite, le sconfitte in campionato fino a questo momento, quasi tutte simili nella dinamica così come simili risultano persino le vittorie, generalmente sudate e sofferte oltre il lecito.
Indubbiamente, il tecnico è alle prese con la flessione di due dei giocatori chiave della scorsa stagione, Zaccagni e Felipe Anderson. Si è atteso forse troppo nel lanciare Isaksen (di lui Sarri a fine agosto disse che doveva ristabilirsi perché “il caldo italiano lo ha bollito completamente”), mentre Guendouzi si è preso subito un ruolo da protagonista. Al mercato, tema ricorrente nelle discussioni del tecnico (“Chiedevo il giocatore A e dovevo scegliere tra C e D”), si può certamente imputare altro: Castellanos non sembra all’altezza di raccogliere quella che sarà l’eredità di Immobile, anche se per valutare fino in fondo un attaccante servirebbero palloni giocabili, e la Lazio di Sarri sembra non avere la minima idea di come crearne. Discorso analogo per Kamada. Le “A” chieste da Sarri, almeno stando alle indiscrezioni estive, erano Ricci, Zielinski e Berardi. Pensare che con questi tre innesti la musica sarebbe cambiata suona come un’utopia. Ma c’è un’altra musica che può far cambiare la percezione della stagione laziale, quella della Champions, fin qui scialuppa di salvataggio per il tecnico. Eppure, anche contro lo sgangherato Bayern dell’ultimo periodo, immaginare che Immobile e compagni possano portare a casa la pelle con prestazioni come quelle di Torino e Firenze rasenta la fantascienza.