Tra caschi spaziali e scarpe “dopanti”
Lo sport continua ad avere grossi problemi ad accettare la tecnologia
Alla Tirreno-Adriatico e alla Parigi-Nizza si è parlato molto dei nuovi caschetti da cronometro del Team Visma. Perché intimorisce così tanto lo sviluppo tecnologico (non solo) nel ciclismo? Il caso delle scarpe che hanno "turbato" l'atletica leggera
Nella poliedrica vita di Hermann Joseph Barrelet – che si era laureato in filosofia e aveva studiato economia e ingegneria e vogava per diletto – ci fu un momento nel quale diventò la rappresentazione dei “mali dello sport”. Era il 23 agosto 1900, il giorno della registrazione del materiale per la prova olimpica del singolo maschile di canottaggio. Ad Asnières-sur-Seine si era presentato con un’imbarcazione comune ma con due remi non tradizionali: la pala era uguale a tutte le altre, il ginocchio no, era ovalizzato perché, a suo avviso, migliorava la resa della vogata. I giudici contattarono prontamente il comitato organizzatore. Fu addirittura Pierre de Coubertin, presidente del Cio, a intervenire, inveendo contro l’atleta. Sostenne che solo l’impegno e la tenacia dovessero guidare gli sportivi, non la ricerca di diavolerie tecnologiche, “emblema dei mali dello sport”. Barrelet partecipò alla prova con un remo tradizionale, vinse comunque la medaglia d’oro.
È passato oltre un secolo da allora, eppure lo sport non ha ancora fatto pace del tutto con la tecnologia. E non tanto per quello che accade nel calcio, dove il Var non è ancora riuscito a risolvere i problemi per il quale era stato creato (la tecnologia funziona, il guaio è l’utilizzo). Il problema sta sempre nell’equazione silenziosa, quindi subdola, che ogni miglioramento tecnologico sia, in realtà, un provare a fregare gli altri. E questo avviene anche in sport – si escludano quelli motoristici – nei quali il miglioramento tecnologico è parte integrante della stessa disciplina.
L’inizio della settimana è stato parecchio interessante nel ciclismo. Prima alla Tirreno-Adriatico e poi alla Parigi-Nizza (due tra le più importanti corse a tappe di una settimana), c’è stato un gran discutere sui caschetti che i corridori del Team Visma hanno indossato nel corso delle prove a cronometro. In parte erano chiacchiere di scherno, perché esteticamente brutti e somiglianti al muso di una megattera, in parte erano commenti allarmati, quasi a chiedersi: dove si arriverà?
Non è il primo casco di forme strane che si vede in testa a un corridore durante una cronometro, ossia in quella particolare disciplina nella quale l’aerodinamicità diventa un fattore chiave per il buon esito della prova. L’Union Cycliste Internationale, vista la moltiplicazione dei casi, ha deciso che “intraprenderà una revisione delle sue regole su progettazione e uso dei caschi per garantire un quadro chiaro e coerente”, ossia, poche parole: regole più rigide per far diventare illegali i nuovi modelli. Una storia già sentita. Nel 2019 il marchio di abbigliamento Endura aveva lasciato il ciclismo professionistico dopo che l’Uci aveva messo al bando le sue innovative magliette frutto di anni di ricerca: “In pratica ci impediscono sviluppi tecnologici. Siamo a un bivio, abbiamo deciso di evitare il vicolo cieco del non sviluppo a cui ci vogliono obbligare”.
Il ciclismo non è l’unico sport che ha di questi problemi. Nell’atletica il modello di scarpe con la suola più alta per contenere una barra di carbonio aveva dato scandalo, facendo gridare al doping tecnologico: minimi vantaggi in effetti queste scarpe li danno, ma di poco maggiori a tutte le altre evoluzioni degli ultimi anni. Le scarpe alla fine non sono state bandite: non era doping tecnologico, un podista doveva comunque correre. Poco male, si è fatta perdonare: i numeri sulle canottiere li attaccano ancora con le spille da balia.