(foto Ap)

a indian wells

Questo è l'anno in cui l'incrollabile Djokovic, forse, è diventato vecchio

Giorgia Mecca

Il serbo, perdendo contro Nardi, è come se ci dicesse che un'epoca si sta chiudendo. E che nessuno (nemmeno lui) è eterno

"Io credo che le epoche si chiudono così, all’improvviso”. Questo diceva Marcello Mastroianni a Carla Gravina in una scena de “La terrazza” di Ettore Scola. Vale in amore e vale nel tennis, dove la parabola può essere ancora più impietosa. Un giorno ti strappi la maglietta, ti comporti da Hulk di fronte a un ragazzo che ha sedici anni in meno di te, sbatti vistosamente il telefono in faccia al futuro e il giorno dopo o giù di lì, in Australia, ti senti influenzato, scarico, vecchio. Il giorno dopo ancora, negli Stati Uniti, ti accade la stessa cosa.  Solo applausi per gli avversari che lo hanno sconfitto nel 2024 (sono due e sono azzurri: Jannik Sinner a Melbourne a gennaio e Luca Nardi oggi a Indian Wells contro ogni pronostico), ma questo potrebbe essere l’anno in cui Novak Djokovic è diventato vecchio. Con un taglio di capelli che usano i giovani, il french crop, il numero uno del mondo saluta il primo trimestre della stagione con zero titoli. Dal 2007 a oggi era accaduto soltanto due volte, nel 2018 (cominciato con un intervento al gomito) e nel 2022 (in quel caso non poteva giocare perché NoVax). “Non sono abituato a questa situazione. Di solito comincio l’anno con una vittoria. Fa parte dello sport, devo accettarlo”, ha detto il serbo che il 22 maggio compirà 37 anni. 

 

Dopo la pandemia, in ogni suo come back il giocatore serbo ha voluto lasciare un segno. Tornava non soltanto per vincere, ma per vendicarsi di chi gli aveva negato l’accesso. Adelaide, Melbourne, Cincinnati, Indian Wells, Miami, New York. Ogni trofeo sembrava una dimostrazione di forza: sono ancora il migliore, quando non mi impedite di esserlo, come se volesse dimostrare che, ad armi pari, di storia con il resto del mondo ce n’era pochina. Incrollabile, anzi, ancora più forte a ogni crepa. Djokolossal lo aveva battezzato l’Equipe nel maggio 2023 dopo la vittoria al Roland Garros, nel regno di Rafa Nadal, un altro quasi eterno che nel 2024 ci dirà addio, a proposito di epoche che si chiudono (nel caso dello spagnolo non proprio all’improvviso).

 

Tutti contro uno. Ma fino al 2023 quell’uno, da solo, era ancora il più forte di tutti. Oggi non più. E se è vero che vincere aiuta a vincere, le sconfitte producono lo stesso effetto. La fiducia in se stessi genera mostri sacri, l’assenza di essa ti porta a tremare contro Jannik Sinner (più che lecito) e con Luca Nardi, splendido lucky loser, (un ragazzo di vent’anni che nel tabellone principale di Indian Wells non avrebbe nemmeno dovuto esserci dato che aveva perso nelle qualificazioni), numero 123 del ranking mondiale fino a ieri e diventato il terzo giocatore fuori dalla top 100 a battere Djokovic in modalità numero uno al mondo, almeno sulla carta. L’azzurro ha parlato di miracolo e il termine non è esatto, perché non è un caso e non è scontato dare il 100 per cento di se stessi quando stai giocando la partita più importante della tua vita. Non è scontato vincere un set, farsi riprendere dal re delle rimonte e non concedergli di portarsi avanti. Non è un caso soprattutto se si considera che nel 2017, ha vinto il campionato mondiale Les Petits in un tabellone in cui erano presenti Alcaraz e Rune. Djokovic si è mangiato tutto il tennis nato negli anni Novanta. Contro il nuovo millennio è un’altra storia. Piace pensare che prima del match Sinner abbia raccontato al suo compagno di azzurro i segreti per battere il giocatore di cui Nardi aveva letteralmente il poster appeso in cameretta. Solo che a vent’anni i poster è ora di metterli via. Se si è fortunati quei poster diventano avversari in carne ed ossa. Solo in pochi hanno avuto il privilegio di incontrare il proprio idolo e sconfiggerlo. Di solito è un giorno felice ma pieno di implicazioni. Significa che un’epoca sta volgendo al termine.

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