Sei Nazioni 2024
"Birra, salsiccia e canti. Il rugby inizia così". Intervista a Giacomo Nicotera
L'Italia contro il Galles chiuderà il suo Sei Nazioni. Il tallonatore della Nazionale ci racconta la Nazionale italiana: "Stiamo costruendo una nostra nuova identità, meno statica e più propositiva, più fantasiosa, più avvincente"
Anni 27, altezza 1,83, peso 107, azzurro numero 721, presenze in nazionale 22 (la 23esima sabato alle 15.15 contro il Galles a Cardiff nella quinta e ultima giornata del Sei Nazioni). Giacomo Nicotera da Trieste, professione tallonatore: domande e risposte.
Il bello del rugby?
“La battaglia, non solo quella collettiva, 15 contro 15, ma anche quella personale, 1 contro 1, il confronto diretto con il proprio avversario nello stesso ruolo”.
Il brutto del rugby?
“Se le cose vanno male, proseguono peggio. Quando si comincia con una caduta, si continua con una valanga. È difficile reagire, recuperare, rimontare. La graduatoria mondiale non è mai casuale, indicativa, formale: battere una squadra di un livello superiore è un’impresa rara. E in questa gerarchia il rugby è spietato. Ma con la Scozia ci siamo riusciti”.
Il segreto del rugby?
“Il 90 per cento del lavoro viene fatto dove non c’è il pallone, senza il pallone, lontano dal pallone. La difesa e l’attacco, nei riposizionamenti, nei riallineamenti. Contro la Scozia, a parte le rimesse laterali, ho toccato il pallone cinque volte. Eppure…”.
La magia del rugby?
“Quando l’armonia dell’attacco si sposa alla sintonia della difesa, quando i passaggi sono secchi e precisi, quando la squadra gioca, cioè suona come un’orchestra e canta come un coro”.
Il rugby del minirugby?
“Un casino totale. Un unico branco impazzito all’inseguimento del pallone. Si potrebbe giocare in un fazzoletto di terra”.
Il rugby delle donne?
“Bello, tecnico, pulito. Un rugby, come tanti sport poco considerati, calcolati e strutturati, di sacrificio”.
Il rugby degli old?
“Birra, salsiccia e canti. Cominciai così, con i Tandoi triestini di mio padre, una squadra di appassionati veterani sognatori”.
Il rugby della serie C?
“Passione allo stato puro. Lavoratori con la voglia di divertirsi. Chi si allena durante la settimana e la domenica salta la partita perché è di turno al lavoro, chi salta gli allenamenti durante la settimana perché lavora e la domenica gioca la partita… Comunque la bellezza di ritrovarsi e stare insieme”.
Il rugby del tallonatore?
“In touche e nel tallonaggio: precisione sotto pressione. In prima linea: spingere, resistere, lottare. Insomma: battaglia fisica e gesti tecnici. Rispetto ai piloni, qualche momento di gloria, che loro non hanno mai”.
Il rugby del Galles?
“Fisico, diretto, duro, non particolarmente creativo, ma sempre orgoglioso e bellicoso”.
Il rugby dell’Italia?
“Innovativo. Non per il rugby, ma per noi. Stiamo costruendo una nostra nuova identità, meno statica e più propositiva, più fantasiosa, più avvincente”.
Il rugby di ieri?
“Valoroso. Ma a capocciate”.
Il rugby di oggi?
“Veloce, muscolare, disciplinato. Chi sbaglia, commettendo infrazioni, paga caro”.
Il rugby di domani?
“Sempre più veloce, sempre più fisico. Una tendenza comune - credo – a tutti gli sport”.
Il rugby dello Stade Français?
“Solido nelle mischie chiuse e nelle touche, fenomenale nei trequarti. La proposta è di un contratto triennale, ma sono ancora del Benetton”.
Se il rugby fosse musica?
“Classica. Non me ne intendo molto, ma direi un’opera di Vivaldi”.
Se il rugby fosse un film?
“Un western. Duelli al sole, duelli balistici, duelli mentali… Chi è più veloce a estrarre, sparare e colpire… E poi tutti nel saloon a bere”.
Se il rugby fosse un animale?
“Zebre, Lupi, Pumas, Jaguares, Leopards, Tigers… Leoni! Io sono un mulo di Trieste. Ma un mulo leonino”.
Se il rugby fosse un sostantivo?
“Passione. Passione come amore, ma anche passione come sacrificio”.
Se il rugby fosse un verbo?
“Credere”.
Se il rugby fosse una virtù?
“Costanza”.
E dopo il rugby?
“Ho il diploma scientifico, e siccome da grande vorrei lavorare nell’agricoltura, dovrò ricominciare a studiare. Quante volte mi hanno detto ‘due spalle rubate all’agricoltura’. Prometto, prima o poi, di restituirle”.