Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA
Roberto D'Aversa e l'inquietudine dell'ego
L'allenatore del Lecce e quell'errore fatale di essere il protagonista del finale "testa a testa" che gli è costato panchina e quattro giornate di squalifica
Parafrasando Gaber, chiedo scusa se parlo di me. Ogni tanto penso a mio padre, che a 97 anni si impegna con forza a mantenere una certa dignità. Fa cose piccole, come vestirsi bene (sempre con la sua cravatta e il soprabito, come si dice), rispondere con garbo, sorridere quando non capisce, perdonare chi non vuole credere in Dio (perché lui ci crede). Non è un santo, non lo è mai stato, ma ci tiene a dare di sé una buona immagine. Credo che invecchiando abbia riposto l’ascia dei sentimenti negativi (pochi da quel che io so) per dare spazio a quelli buoni.
La sua inquietudine da psicoanalitica si è trasformata in filosofica, e la distinzione è parecchio necessaria. Perché la prima si identifica con la pressione, la precarietà di mantenere un ruolo, di rispondere a determinate aspettative con lo stress che ne consegue, la seconda invece attiene a una dimensione molto più complessa e per questo affascinante: quella della comprensione della vita. In età giovanile ognuno reagisce d’istinto pensando di possedere la verità, combinando un sacco di casini. Crescendo, ci si calma un po’, ma arrivati a metà strada, tra i quaranta e i cinquanta, si oscilla tra ciò che si è e ciò che vorremmo ancora essere, momento orribile, vissuto spesso con la paura addosso di non farcela perché il tempo si sta pericolosamente accorciando.
Quindi, senza la necessaria attenzione, si commettono errori molto gravi, come quello che ha fatto Roberto D’Aversa, 48 anni, l’allenatore del Lecce protagonista del finale “testa a testa” che gli è costato panchina e quattro giornate di squalifica. D’Aversa non ha controllato la sua inquietudine per così dire materiale (di quella materia che è il nostro ego) ed è caduto all’inferno. Non so come si salverà, ma penso sia giusto dargli una chance di redenzione, perché a quell’età sbagliare è molto facile. Proseguendo negli anni, per intendersi avvicinandoci all’età di mio padre, dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, subentrare progressivamente in tutti noi una celestiale condizione di nobiltà intellettuale, che traduca in chiave filosofica la suddetta inquietudine, mettendo in ordine la priorità delle cose importanti, ponendo in vetta a questa speciale classifica la dignità, verso se stessi e gli altri, sotto forma di rispetto.
Per questo motivo, trovo piuttosto triste constatare che ci siano uomini di oltre 70 anni che invece di assecondare la propria inquietudine con una dolce accondiscendenza, come fanno i più buoni, la alimentino con una certa protervia, come fanno, sovente, i più cattivi. Mi sembrano dei deboli esecutori di un imperativo incontrollabile a cui rispondono con sudditanza, alzando la voce, per non sentirsi soli. Vittime di un’irrisolta controversia che si chiama inquietudine dell’ego.