Cesare Fiorio con Gianni Agnelli (LaPresse)

Il Foglio sportivo

Scamarcio interpreta Fiorio in Race of Glory. Quando la Lancia superò l'Audi nei rally

Umberto Zapelloni

Il film diretto da Stefano Mordini è la storia di come l’ingegno e la creatività italiana di Cesare Fiorio abbiano saputo battere la tecnologia tedesca. “C’è stata un’altra Italia-Germania 4-3” 

Race for Glory non è soltanto il racconto di una grande impresa sportiva, dell’ultima vittoria nel mondiale rally di un’auto con due ruote motrici. È anche il racconto di come un successo sportivo ha cambiato il destino della Lancia.

Chissà se senza quella vittoria avrebbe continuato a investire nello sport... Ci saremmo persi auto che hanno fatto la storia come la Delta integrale e ovviamente il rilancio annunciato in questi giorni. Ma Race for Glory è soprattutto una storia di uomini. Di come l’ingegno e la creatività italiana abbiano saputo battere la tecnologia tedesca, di come Cesare Fiorio, un vero visionario dello sport, abbia permesso a Davide di battere Golia, al grande sfavorito di conquistare il mondo, all’Italia di battere la Germania come nel 4-3 in Messico e in tante altre occasioni venute dopo: “L’epica è quella, la Lancia non aveva la tecnologia delle quattro ruote motrici, aveva un budget ridotto. Ma Fiorio, uomo elegantissimo, l’ha portata alla vittoria. La sua è stata una rivalità costruttiva e per vincere era andato a prendere anche un pilota tedesco, Walter Röhrl (interpretato da Volker Bruch). Abbiamo messo in scena il confronto tra l’ingegno umano un po’ folle e coraggioso contro l’arroganza della tecnica e del denaro”, racconta Riccardo Scamarcio che non seguiva i rally, ma è rimasto affascinato dai racconti di Cesare Fiorio, suo vicino di uliveti in Puglia. “Quando Riccardo è arrivato da me,  non sapevo ancora che avrebbero realizzato questo film. Voleva delle informazioni sulla mia carriera sportiva, raccogliere dettagli e aneddoti su alcuni episodi. Io raccontavo, lui prendeva nota. Ma non sapevo cosa ne avrebbe fatto dei miei racconti, né quale sarebbe stato il risultato: oggi sono super contento!”.

Il film, diretto da Stefano Mordini, che piacerà agli appassionati di sport, ma anche agli appassionati di grandi storie (“e ai bambini”, aggiunge Scamarcio), è anche il racconto dell’ossessione di Cesare Fiorio, un uomo a cui è sempre e soltanto importato vincere. Oggi che ha più di 80 anni e si è ritirato in Puglia, allestendo attorno alla sua masseria una  pista da rally dove si disputano gare e si tengono corsi di guida, può guardarsi indietro con orgoglio, anche se mai avrebbe pensato di rivedersi sul grande schermo interpretato da un attore che ultimamente è passato da Bradley Cooper a Johnny Depp e Al Pacino. Cesare Fiorio ha vinto dovunque. In pista, sulla strada, in Formula 1 con la Ferrari, in mare con il Destriero. Un uomo per tutti i terreni, senza dimenticare la neve dove era maestro e i green del golf dove con Mansell e Prost si impegnava in epiche partite in giro per il mondo. 


Race for Glory racconta il Mondiale rally 1993, un anno importante in cui la Lancia si trova a dover affrontare lo strapotere dell’Audi che aveva portato in gara le quattro ruote motrici. “A quei tempi il Mondiale era un grande evento, il Rally di Montecarlo era famoso come la 24 ore di Le Mans, come un gran premio di Formula 1. Di notte sul Col del Turini c’erano anche 50 mila spettatori al freddo e al gelo a vederci passare”, ricorda Fiorio che dovette dar fondo a tutto il suo ingegno per riuscire a battere, almeno nel campionato marche, l’Audi (il titolo piloti andò a Mikkola, interpretato da Gianmaria Martini). Si inventò un’auto leggera, velocissima, ma con due sole ruote motrici come la Lancia 037, un modello passato alla storia come la Fulvia HF, la Stratos e poi la Delta Integrale. Un’auto che non poteva battere l’Audi sulla neve, ma che riuscì a vincere a Monte Carlo, sullo sterrato dell’Acropoli e poi a Sanremo, oltre che in Corsica e in Nuova Zelanda. “Riuscimmo a far diventare pazzi quelli dell’Audi – racconta Fiorio – ma sempre rispettando le regole, altrimenti non sarei rimasto al top dello sport per quarant’anni. L’unica cosa non  vera che si racconta nel film è il trucco che avremmo adottato con la federazione internazionale per omologare la 037. No, le 200 macchine per essere accettati nel Mondiale le avevamo tutte”.

Non c’è stato nessun trucco. Fiorio ne ha usati altri per far innervosire Roland Gumpert, il suo omologo direttore della squadra corse Audi, interpretato da Daniel Brühl, il Niki Lauda di Rush. Come quello raccontato nel film: quando con l’aiuto della gendarmeria francese fece spalare un tratto particolarmente innevato e poi mandò i suoi uomini a gettare il sale. “Ma parliamo di 20 chilometri su 700 di prove speciali, non abbiamo certo vinto per quello”. Vinto no, ma fatto innervosire gli avversari sicuramente. D’altra parte tutto ciò che non è vietato dal regolamento è permesso. Fiorio non ha mai avuto paura dei suoi avversari. Come quando nel suo periodo da responsabile della squadra corse Ferrari arrivò a mostrare il dito medio a Ron Dennis, il suo rivale che in McLaren gestiva Senna e Prost. Fiorio è stato un visionario dei rally. Si è inventato i ponti radio con gli elicotteri, il trasporto dei migliori meccanici da un’assistenza all’altra con gli stessi elicotteri, l’assistenza medica per piloti, meccanici e ingegneri, ha introdotto gli sponsor sulle auto colorandole con i loghi di Alitalia, Marlboro o Martini. Vedeva lontano, come quando decise di sfidare l’Atlantico con il Destriero o sotto il diluvio di Jerez dopo un test ci disse: “Segnatevi il nome di questo ragazzino, diventerà campione del mondo”. Era Fernando Alonso ed era appena sceso dalla Minardi.

Nel film a Cesare è stato concesso un cameo. Lo si vede seduto a un tavolo a Monte Carlo, la sera della festa per la vittoria. Anche se il cameo più divertente è quello in cui Lapo interpreta suo nonno Gianni in ascensore a Mirafiori: “Sa che cosa mi ha chiesto mio nipote per il suo compleanno? Un’Audi”. E Fiorio esce da quell’ascensore a vara il programma 037. Quello dello scacco ai tedeschi.