Il Foglio sportivo
Quella sporca ultima meta
Quando gli All Blacks erano ancora gli Originals e non riuscirono a evitare il primo ko
"Io quella meta l’ho segnata davvero”. Furono le sue ultime parole, un commiato per una giovane vita che se ne stava andando a causa di una imprevista complicazione dopo un ricovero per appendicectomia. Aveva 24 anni Robert George Deans. Veniva da una famiglia benestante e giocava “centro” nei Canterbury Rugby Football Union. A 21 anni era stato selezionato per la prima tournée della storia degli Originals, i progenitori degli All Blacks. Partiti in nave per un viaggio di oltre 40 giorni, i tuttineri erano una misteriosa squadra di rugby che si sarebbe confrontata con il meglio del rugby europeo. Ed il meglio del rugby europeo era tutto concentrato nella Madre patria di Sua Maestà. Squadra misteriosa perché di questi ragazzi provenienti dalle colonie più lontane si sapeva poco o nulla. Sarebbe bastato però pochissimo per rendersi conto che questi giocavano a rugby meglio di tutti gli altri. Bravi in mischia come nel gioco alla mano, gli Originals iniziarono subito a far capire di che pasta fossero fatti nei primi incontri con le squadre inglesi. Devon, Cornwall e Bristol incassarono tutte più di 40 punti (ogni meta era premiata con soli tre punti). Da lì la leggenda del presunto refuso che avrebbe originato l’appellativo di “All Blacks” in un articolo dove il giornalista definiva i neozelandesi come “all backs”, ovvero tutti capaci di giocare come tre/quarti. Deans era il più giovane di quel gruppo di pionieri. In tutta la tournée giocherà 21 partite. Andando a meta 20 volte. O 21? Arriviamoci con calma.
Perché dopo le vittorie contro squadre di club inglesi gli Originals affrontarono la Scozia e l’Irlanda prima di incrociare la Nazionale inglese. Percorso netto. Dall’alto di una superiorità complessiva che nessuno riusciva a scalfire. Siccome avevano dovuto sostenere spese di viaggio e di alloggio non indifferenti, i neozelandesi chiedevano alle squadre avversarie una specie di rimborso. Tra le 200 e le 500 sterline a seconda della capienza degli stadi dove andavano a giocare e della distanza che dovevano percorrere. Anche perché dopo il viaggio di andata c’era pure quello di ritorno. La trattativa generalmente durava pochissimo, ogni squadra era orgogliosa di poter giocare contro gli Originals, a prescindere dal risultato finale.
L’unica difficoltà i dirigenti neozelandesi la trovarono nel convincere gli scozzesi. Ben lieti di dare consistenza alla nomea della loro parsimonia, i signori in kilt decisero che se gli Originals volevano dei soldi se li sarebbero dovuti ulteriormente guadagnare. Niente ingaggio a scatola chiusa: vi daremo una “provvigione” sull’incasso della partita. Oltre che “braccini” questa volta gli scozzesi si dimostrarono però poco furbi. In campo gli Originals vinsero 12-7. E fin qui niente di strano visto che quella contro la Nazionale scozzese era la ventesima vittoria di fila per i ragazzi venuti da lontano. Gli spalti dello stadio erano però gremiti all’inverosimile e quando si trattò di fare i conti per dare agli avversari il pattuito riconoscimento gli scozzesi si accorsero di dover scucire 1.700 sterline. Più del triplo rispetto alla richiesta iniziale. Oltre che tirchi gli scozzesi si dimostrarono anche rancorosi. Perché quando la Nuova Zelanda si ripresentò nel 1925 per la seconda, storica tournée (quella dei cosiddetti “Invincibles”, 28 vittorie in 28 incontri), gli scozzesi si rifiutarono di giocare contro di loro. Evidentemente non gli era ancora passata…
Torniamo a Bob Deans. La ventottesima partita è in programma in Galles, ovviamente a Cardiff. Il saldo sino a quel momento è di 27 vittorie e nessuna sconfitta. È il 16 dicembre 1905. Ha piovuto parecchio nei giorni precedenti (strano…) ma il giorno del match è asciutto. In cielo, ma non in terra: il campo è pesantissimo. Ci sono 47mila gallesi che cantano “Land of my Fathers” dopo che gli Originals hanno esibito la loro Haka. L’arbitro dell’incontro è uno scozzese: John Devar Dallas. È vestito di tutto punto in giacca e cravatta, come impone l’etichetta. Indossa anche un paio di mocassini non esattamente adatti al pantano che dopo pochi minuti trasforma in campo un una palude. Va da sé che per lui non sia facilissimo essere nel punto di osservazione giusto per vedere bene cosa stia accadendo nel play-by-play.
I gallesi sono forti, mettono pressione agli Originals. Che forse cominciano anche a essere un po’ stanchi visto che gli avversari cambiano sempre ma loro sono gli stessi. Una grande giocata del mediano gallese Cliff Pitchard genera un’apertura per l’ala Teddy Morgan che prende velocità e finisce in metà nel boato dell’Arms Park.
Colpiti ma non affondati (i gallesi falliscono infatti la trasformazione da un punto che li avrebbe portati sul 4-0) i tuttineri iniziano a riguadagnare campo ma non riescono a concretizzare. Fino a quando Billy Wallace, ala neozelandese, recupera una palla che i dragoni non riescono a calciare fuori. Rompe un placcaggio, poi un altro e un altro ancora. Quando proprio non vede altro pertugio ecco che non troppo lontano da lui scorge con la coda dell’occhio Bob Deans. Il centro di Canterbury è la sua unica opzione di passaggio prima di venir sbranato da altri tre gallesi che gli stanno piombando addosso. Wallace si libera della palla e Deans la raccoglie stringendola al petto con forza. Bob vede la linea di meta avvicinarsi sempre di più, un paio di cambi di direzione ed ecco la decisione: lanciarsi verso la linea per chiudere schiacciando con forza la palla e pareggiare il punteggio sul 3-3 offrendo poi il calcio del possibile 3-4 a un compagno. Succede esattamente così. Deans arriva al di là della linea con due gallesi aggrappati alle sue cosce. In tutto questo il signor Dallas, complici i mocassini, il fango e il suo abito da cerimonia non riesce a essere esattamente in grado di verificare l’effettivo passaggio della palla oltre la linea. Ci arriva comprensibilmente con i suoi tempi. I gallesi aggrappati a Deans in un paio di secondi si moltiplicano e il povero ragazzo neozelandese viene letteralmente rimorchiato indietro per un buon metro. Quando Dallas arriva sul luogo del delitto effettivamente vede Deans avanti a tutti con la mano sulla palla. Ma l’ovale è al di qua della linea. Deans capisce che Dallas non ha convalidato una meta sacrosanta e insieme ai suoi compagni chiede, in modo educato, ma fermo, giustizia. Che non avrà. Dallas non concede la meta, il Galles vince 3-0 e potrà per sempre dire di essere stata l’unica squadra a battere gli All Blacks nella prima serie in Europa della squadra più vincente di sempre. Bob non si dà pace, è un ragazzo che va regolarmente in Chiesa e cerca di portarci pure i suoi compagni. La sua educazione e la sua onestà sono al di sopra di ogni sospetto. Bob porta sempre con sé qualche spicciolo da dare in elemosina nel caso incontri qualche mendicante.
Una volta un suo allenatore gli sottrasse per scherzo un orologio e una catena d’oro dal comodino in albergo. Bob non fece nemmeno denuncia. Pensò che a commettere quell’atto potessero essere stati solo i compagni di squadra o le cameriere. Ma, disse Bob Deans, “le cameriere hanno l’aspetto da persone oneste e nessun compagno di squadra farebbe mai questo. Quindi questione chiusa. Li avrò persi da qualche parte”. Questo per dire che la parola di Bob era al di sopra di ogni sospetto. Ma non al di sopra della decisione di Dallas che dopo aver ascoltato e riascoltato le ragioni di Deans decise di dar ragione a quel che vedeva e non a quel che aveva sentito. La vita sarà crudele con questo eroe involontario e tre anni dopo su un letto d’ospedale i familiari ne raccolsero i sospiri finali. Tra questi, l’ultimo. “Io quella meta l’ho segnata davvero”, disse prima di addormentarsi per sempre. La giustizia terrena gli avrebbe reso merito molti anni più tardi quando ad Auckland in una scatola arrugginita fu trovato un diario che raccontava esattamente la descrizione di quell’ultima azione così come aveva sostenuto Bob Deans. Ovvero che i gallesi lo avevano tirato indietro e che la meta avrebbe dovuto essere assegnata. A rendergli ulteriore omaggio e dedica sarebbe stato poi un suo pronipote, Bruce Deans. Ottantatré anni dopo quel Galles-Originals 3-0 il giovane Bruce a Christchurch esordì come estremo in una sfida tra gli All Blacks e, udite udite, il Galles. E come nelle migliori storie con lieto fine a segnare la prima meta della partita (vinta largamente dai tuttineri 52-3) fu proprio Bruce. In loving memory.