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Lo Schalke 04 è la pecora nera nel sostenibile calcio tedesco
Dalle semifinali di Champions al rischio fallimento: la società di Gelsenkirchen, oggi nei bassifondi della seconda serie, è travolta dai debiti. C’entrano uno sciagurato accordo con Gazprom e uno stadio costato caro (che potrebbe finire in vendita)
C’era una volta il glorioso Schalke 04. Quello con Neuer in porta, Rakitic a centrocampo e Raul in attacco, capace di strapazzare l’Inter campione d’Europa e approdare fino alle semifinali di Champions League nel 2011. Già allora era un brillare sporco. Perché dietro le imprese della squadra – anche diversi podi in Bundesliga e una Coppa di Germania fresca in bacheca – si annidavano debiti societari per 135 milioni di euro. Per quasi un decennio il club di Gelsenkirchen ha potuto farvi fronte grazie a dei ricavi fra i più alti d’Europa, stabilmente oltre i 200 milioni annui. Poi l’iniezione di liquidità s’è interrotta. Mentre il buco in bilancio è rimasto: oggi, nonostante gli sforzi finanziari della dirigenza, lo Schalke è in rosso per 165 milioni. È quattordicesimo in Zweite Bundesliga, a tre punti da una retrocessione diretta in terza serie che sarebbe la sua prima di sempre. E il sinonimo di fallimento definitivo. Per scongiurarlo, rivela in questi giorni la Bild, il club starebbe valutando di vendere tutto il possibile. Perfino il suo stadio: il fiore all’occhiello e al contempo la genesi del tracollo.
La Veltins-Arena è infatti un moderno impianto da 62mila spettatori, apprezzato per il suo tetto chiudibile e l’atmosfera da partite calde. È stato costruito nel 2001 per volere dell’allora neopresidente dello Schalke, Clemens Tönnies, proiettandosi subito ai vertici dell’ingegneria sportiva tedesca: ha ospitato la finale di Champions 2004, poi cinque incontri dei Mondiali 2006 e ne terrà altri quattro agli Europei 2024. Il problema è che per realizzarlo lo Schalke si è indebitato parecchio, senza ottenere ritorni adeguati. Serviva una sponsorizzazione coi fiocchi: Tönnies, forte dei suoi rapporti commerciali con la Russia, già nel 2006 stringe un accordo con Gazprom. Il colosso energetico di Putin, che garantisce risorse e abbagli di grandeur. Così lo Schalke inizia un percorso a sé, rispetto ai modelli di prudente sostenibilità aziendale del calcio in Germania. I nodi vengono al pettine nel 2020: mentre gli altri club di Bundesliga, fra pandemia e porte chiuse, accusano un calo dei ricavi attorno al 5 per cento – numeri virtuosi per la media continentale – quelli dei Königsblauen sprofondano del 31. Tönnies abbandona la barca fra le polemiche, l’anno dopo la squadra retrocede in Zweite e quello dopo ancora la Russia invade l’Ucraina. Quattro giorni più tardi, i nuovi vertici dello Schalke stralciano la partnership con Gazprom. La faccia è salva, ma i rubinetti son chiusi.
C’è stato tempo per un’altra estrema illusione: quella stessa primavera i giocatori infilano un gran finale di campionato e rimontano dal sesto al primo posto. Il pronto ritorno in Bundes riaccende i tifosi, annacqua il presente. Ma dal 2022/23 riprende l’inesorabile discesa: tre cambi di allenatore, altra retrocessione e stavolta l’inerzia non cambia. Il club ragiona al risparmio, si sforza di emettere bond e trovare nuovi investitori. Eppure il dissesto finanziario è ormai troppo profondo per non arrivare all’attenzione della Federcalcio. Nel migliore dei casi, nella prossima stagione lo Schalke dovrà scontare una forte penalizzazione. Nel peggiore, non esisterà più. O resterà nudo, senza più gloria né stadio.