Serie A
Checché ne pensi Zeman, il derby di Roma non è "una partita come tutte le altre"
Si gioca all'Olimpico Roma-Lazio. Sono passati ventisette anni dall'annata stregata del tecnico boemo che sulla panchina giallorossa perse quattro stracittadine su quattro
A trasformare una frase brillante in un aforisma non è la sua veridicità, quanto la sua capacità di suggestionare, di creare una realtà alternativa e verosimile, di prendere il sentire comune in contropiede. È stato così anche per Zdenek Zeman, l’uomo che a forza di ripeterla è diventato ostaggio della massima che lui stesso aveva forgiato. "Il derby è una partita come tutte le altre", profetizzava il boemo. Un concetto pronunciato talmente tante volte che ha finito per diventare formula magica al contrario, maleficio autoinflitto.
L’incantesimo viene lanciato nel gennaio del 1997. La Lazio di Cragnotti esonera Zeman e affida la panchina a Dino Zoff, qualcosa di molto simile all’esatta negazione del boemo. A maggio la Roma di Franco Sensi si ritrova a dover ricostruire. Per l’ennesima volta. Nils Liedholm, che aveva sostituito Carlos Bianchi, non se la sente di restare in panchina per un’altra stagione. I giallorossi pensano a Trapattoni. Ma anche a Zaccheroni, Guidolin e Ranieri. Sono tutte piste complicate. Troppo. Così un giorno il telefono di Zeman inizia a squillare. "Pronto, sono Franco Sensi", dice l’uomo dall’altra parte della cornetta. "Sì, come no", risponde la voce alla nicotina del boemo prima di attaccare. Per capire che non si tratta di uno scherzo ci vuole un’altra telefonata. Alla fine i due si incontrano all’Hotel Cicerone. E si stringono subito la mano. A guidare la nuova Roma è un allenatore che fino a qualche settimana prima era il simbolo della Lazio.
L’effetto è straniante. Daniela Fini, moglie del leader di An e verace tifosa laziale, si dispera: "È come se mio marito passasse a Rifondazione Comunista". Il Corriere spedisce addirittura alcuni cronisti al Fleming, dove vive Zeman, per capire che aria tira. "È l’unico romanista della zona", riferiscono i corrispondenti. Il calciomercato è contraddittorio. Arrivano 14 giocatori nuovi. Fra questi ci sono Cafu, Paulo Sergio e Di Francesco. Ma anche Lucenti, Helguera, Servidei, Dal Moro, Vagner e Cesar Gomez, il gran visir di tutti i pacchi romanisti.
La partita che tutti aspettano si gioca il 2 novembre, nel giorno della Festa dei Morti. La Lazio, che insegue i cugini con 4 punti di distanza, si avvicina al derby chiusa in un prudente silenzio stampa. Zeman, invece, è particolarmente verboso. "Continuo a considerare il derby una partita normale, a differenza di voialtri che lo caricate di un'attesa e di un'importanza stratosferiche – dice con tono serio – Dimenticate che tre punti si prendono se si batte la Lazio, tre punti si prendono se si batte il Milan o la Juventus. La verità è che vorrei vincere contro chiunque, senza guardare il nome dell’avversario". E ancora: "Loro conoscono tutto di me? Se è per questo, anch'io so tutto di loro. Molta gente l'ho portata io alla Lazio, non dimenticatelo. Buoni giocatori, che ho sempre stimato. Forse anche di più di quanto meritino effettivamente".
Il verdetto del campo è spietato. La Lazio resta in 10 dopo appena 7’ ma passa con Mancini, Casiraghi e Nedved. Poi al 91’ Delvecchio segna il gol della bandiera romanista. "I laziali devono farmi una statua – dice Zeman a fine partita – Se perdevano con noi erano finiti". È una frase che qualcuno prende alla lettera. Quasi trecento tifosi biancocelesti si presentano sotto casa del boemo al Fleming. E ballano e cantano per tutta la notte.
Qualche tempo dopo il destino decide di accanirsi con i giallorossi. Le due squadre romane si incontrano nei quarti di finale di Coppa Italia, un trofeo che per lungo tempo è stato considerato poco più di un porta ombrelli. Si gioca il 7 gennaio. E il risultato dell’andata è disastroso. La Lazio vince addirittura 4-1 (Boksic, Jugovic, Mancini e Fuser, rete di Balbo per la Roma). A fine partita Zeman ostenta calma. "Nel primo tempo abbiamo giocato soltanto noi – dice – Magari la Roma giocasse sempre così". A Trigoria va in scena la contestazione. E sui muri davanti al centro sportivo, fra gli insulti, qualche romantico scrive: "C’è ancora il ritorno, daje". Il problema è proprio questo. Due settimane più tardi la Lazio passa in vantaggio con Jugovic e viene raggiunta da Paulo Sergio. È un pareggio che non serve a nulla. Ma che illude i giallorossi di aver spezzato il sortilegio. La speranza va in frantumi al 94’, quando Guerino Gottardi trafigge Konsel in contropiede. A fine partite i giocatori giallorossi traboccano di bile. "La Lazio ha segnato due gol irregolari – dice Zeman – Per quanto visto sul campo non meritavano la qualificazione. Meglio la mia Roma".
L’ultimo atto si gioca a marzo. E la quarta sconfitta trasformerebbe la stagione dei giallorossi in una barzelletta. La Roma ha paura di perdere. E infatti perde ancora. Finisce 2-0. Con gol di Boksic e Nedved. "È un momento terribilmente brutto", dice Sensi. Ma intanto un anonimo biancocelesti scrive sotto casa di Sdengo: "Zeman grazie di esistere".
Il Foglio sportivo - In corpore sano