Un mistero chiamato Andrea Belotti
Alla Fiorentina l'attaccante voleva, poteva e doveva ritrovare il gol perduto. Finora non è andata così
Il sequel è piuttosto simile al primo capitolo della storia. Ed è esattamente questo il problema. Perché nessuno aveva bisogno di uno stravolgimento nella trama di questa stagione quanto Andrea Belotti. Dopo un anno e mezzo straziante con la maglia della Roma addosso, il Gallo aveva cercato la propria rinascita a Firenze. L’obiettivo era riannodare il futuro prossimo con un passato (all’apparenza) remoto che raccontava di cento gol in Serie A solo con il Torino. Un cronosisma alla Kurt Vonnegut che però non sembra aver dato i frutti sperati. I numeri sono impietosi. Zero gol in due presenze in Uefa Conference League. Una rete in nove gettoni in campionato. Con Italiano in panchina il Gallo ha giocato 684 minuti, ma esultato solo nel 5-1 con cui la Fiorentina ha accartocciato il Frosinone. Poi basta. Da quel momento in avanti Belotti è rimasto fuori dagli highlights contro Bologna, Empoli e Torino. Contro la Juventus è stato il peggiore in campo, avulso dalla partita, isolato dai compagni. Tanto che all’intervallo l’allenatore ha deciso di sostituirlo con Sottil. Contro il Milan ha tirato due volte in porta. Ed entrambe le conclusioni sono state disinnescate da Maignan. Gli unici acuti sono arrivati contro le romane. Un palo, un assist e un rigore procurato contro la Lazio. Un tiro, una sponda di testa per il gol di Mandragora e un rigore provocato contro i suoi ex compagni giallorossi. Troppo poco per un attaccante che nel 2016 era valutato (evidentemente solo da Cairo) quasi 90 milioni di euro.
In verità la produzione offensiva di Belotti (26 centri nel 2017 il suo record) era calata già verso il tramonto dell'avventura al Torino. Nell’ultima stagione in granata il Gallo aveva segnato 8 gol in 22 presenze. Meno di Bonazzoli, Destro e Thomas Henry. Questione di motivazioni, si era detto allora. Servivano nuovi obiettivi, nuovi compagni, nuovi stimoli. Così Belotti si era allenato da solo per tutta l’estate aspettando che venisse messo nero su bianco il suo accordo con la Roma. Sembrava un colpo perfetto. Per il centravanti. Per la squadra di José Mourinho. Solo che la sua avventura nella Capitale è passata presto da sogno a incubo. Il centravanti si è dovuto inserire in una squadra che faticava dannatamente a segnare (50 reti a fine stagione, nono attacco della Serie A), che utilizzava i centravanti più come strumento di pressing che di finalizzazione. E Belotti è stato risucchiato in un gorgo nero. L’uomo che trasformava l’area di rigore avversaria nel giardino di casa propria ha lasciato il posto a un centravanti che non segnava mai. Nel vero senso della parola. In 31 presenze, di cui solo 11 da titolare, il ragazzo di Calcinate non è riuscito a gonfiare il sacco avversario neanche una volta. Il gol non era più una consuetudine, ma un’ossessione. Belotti non era più il Gallo, era Willy il Coyote che inseguiva il suo personale Beep Beep, senza mai riuscire a prenderlo, mancandolo a volte in maniera goffa e inspiegabile. Un sortilegio che sembrava essersi spezzato alla prima gara di questa stagione, quando Belotti aveva messo a segno una splendida doppietta contro la Salernitana. Il sospiro di sollievo è durato poco. Qualche giorno più tardi la Roma ha annunciato l’acquisto di Romelu Lukaku. Lo spazio per Belotti si è ridotto all’osso. Da quel momento Mou gli ha concesso una media di 19 minuti a partita. Con De Rossi le cose non sono andate poi meglio. A gennaio si è parlato di uno scambio con Ikoné, uno che non veniva esattamente dal momento più felice della sua carriera. Alla fine la Roma ha deciso di lasciarlo partire comunque. Via in prestito. Senza troppi rimpianti. Poi il futuro si vedrà. Ora contro il Viktoria Plzen in Conference e contro il Genoa in campionato il Gallo ha la possibilità di scrollarsi di dosso la Roma, di tornare a essere l’attaccante di un tempo. E questa sarebbe la miglior notizia possibile per la Fiorentina. Ma anche per la Nazionale.