Per il Torino il derby contro la Juventus è soprattutto un ostacolo psicologico
Dal 2015 a oggi il Torino le stracittadine le ha perse in modi sempre diversi: convincendo a livello di gioco oppure finendo travolto, beffato all’ultimo istante o senza mai entrare in partita, illudendosi di avercela fatta, talvolta sentendosi semplicemente non all’altezza del compito e delle aspettative
Un derby vinto in 29 anni, peraltro dal valore sportivo tutto sommato ridotto, è un incubo dal quale non si esce facilmente. Il Torino ci proverà, per l’ennesima volta, sabato pomeriggio, dopo averne persi 23 su 29 nell’èra Cairo, un numero gigantesco anche volendo considerare gli anni di dominio imposto dalla Juventus sul campionato. Li ha persi in modi sempre diversi: convincendo a livello di gioco oppure finendo travolto, beffato all’ultimo istante o senza mai entrare in partita, illudendosi di avercela fatta, talvolta sentendosi semplicemente non all’altezza del compito e delle aspettative. Per trovare l’unica vittoria dal 1995 bisogna arrivare al 2015, con la Juventus già certa del tricolore anche se in assenza del conforto dell’aritmetica: un derby ribaltato con i gol di Darmian e Quagliarella.
Lo scivolone di Empoli, arrivato in coda a un match nel quale il Torino è stato, a voler usare un eufemismo, sfortunato, ha vanificato l’ennesima prestazione monstre della stagione di Duvan Zapata, autore di una doppietta con tanto di 2-2 in pieno recupero sull’ennesimo assist stagionale di Raoul Bellanova: proprio il terzino, però, ha contribuito pesantemente al gol con cui Niang ha gelato i granata. E sono i profili di Zapata e Bellanova a richiamare, alla lontana, quelli di Quagliarella e Darmian: è anche a sottigliezze del genere che il tifo del Toro proverà ad aggrapparsi in un avvicinamento che come da recente tradizione risulta particolarmente sofferto.
Anche stavolta, come già accaduto negli ultimi anni, il gap tra granata e bianconeri non sembra essere particolarmente accentuato: non sono più i derby dell’era Conte o del primo Allegri, quando il dislivello pareva esagerato. Ma per Buongiorno e compagni ha il profumo dell’ultima o penultima chiamata per la corsa europea non tanto a livello aritmetico quanto mentale e questo non farà che accrescere la pressione sul Toro mentre la Juventus, con i suoi 12 punti di vantaggio sull’Atalanta sesta – stante ormai la pressoché certa posizione extra per la Champions del prossimo anno – e un umore rigenerato dai successi con Lazio e Fiorentina, potrà giocare la sua solita partita diabolica, abbassando i ritmi e aspettando l’episodio decisivo in maniera lenta e inesorabile.
Da anni, i tifosi del Toro pongono Cairo davanti a un bivio: il salto di qualità o l’addio. Per il momento, né l’una né l’altra condizione si sono verificate. Eppure, stavolta, l’aggancio all’Europa è possibile: con il posto in più per la Champions tutto scala di una posizione e il Torino non è così distante da Lazio e Napoli, anzi. Ma per arrivarci avrà bisogno di superare quell’ostacolo psicologico che da 29 anni assilla quasi tutte le stagioni granata: una vittoria darebbe uno slancio clamoroso in vista del rush finale, una sconfitta rappresenterebbe una scure di depressione pronta ad abbattersi su un gruppo che fino a questo momento ha saputo superare problemi strutturali enormi (l’infortunio devastante di Schuurs, i due stop di Buongiorno, l’ennesimo braccio di ferro Juric-Radonjic). Ma il derby rischia di pesare più di ogni altra cosa: un fardello invisibile e implacabile sulle spalle di una squadra che avrebbe un disperato bisogno di un attimo di tremendismo granata.
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