il goleador della seconda stella
Il marchio di Lautaro Martinez sullo scudetto dell'Inter
L'attaccante argentino è uno dei pochi fuoriclasse certificati che frequentano la Serie A, un cannoniere implacabile, un capitano per suffragio popolare, un simbolo dell’identità nerazzurra, anzi, il giocatore-simbolo di questa stagione
Il primo gol con la maglia dell’Inter lo segnò un sabato di metà luglio del 2018 in amichevole a Lugano, beffando un portiere svizzero – tale Baumann – che aveva calcolato male il tempo del tuffo. L’allenatore di allora – Luciano Spalletti – disse che “il ragazzo ha fatto subito vedere tutta la sua forza fisica e una qualità rara nel tiro”. Sui giornali compariva ora come Lautaro, ora come Martinez; per tutti era il figlioccio di Diego Milito, che di lui aveva parlato assai bene. Del Principe, nelle relazioni degli scout nerazzurri, replicava oltre che i natali in Argentina, anche il contorno fisico e le movenze rapidissime. Di lì a un mese avrebbe compiuto ventuno anni, teneva la stessa acconciatura a la page di oggi – taglio mohicano, solo più accentuato – festeggiava esattamente come fa adesso – incrociando le braccia con le dita a indicare due estremi – e non sorrideva praticamente mai, bravi voi se trovate in giro una foto del Toro che mostra soddisfatto una fila di denti. Gli altri due gol, quel giorno di Lugano-Inter 0-3, li segnò un altro ragazzo di belle speranze, si chiamava Yann Karamoh e oggi intristisce il Montpellier. Quello forte, nelle previsioni da bar, era lui, mica Lautaro Martinez.
Sono passati buoni buoni sei anni e sei stagioni e Lautaro – per cantarla alla Loredana Berté – ha avuto un sacco di avventure, niente di particolare: solo che è diventato bellissimo. Uno dei pochi fuoriclasse certificati che frequentano la Serie A, un cannoniere implacabile, un capitano per suffragio popolare, un simbolo dell’identità nerazzurra, anzi, il giocatore-simbolo dell’Inter campione d’Italia 2023-24.
Nessuno più di Lautaro ha riassunto nella propria fame di vittorie l’Inter costruita da Simone Inzaghi. Che per primo l’ha considerato imprescindibile, negli schemi e nello spogliatoio. La parabola di Lautaro Martinez è la dimostrazione che – per diventare quelli che siamo – bisogna prendere una lunga rincorsa. Per anni è stato l’altro, la spalla, lo scudiero. Di Icardi prima, di Lukaku poi, nel mezzo Dzeko a sottrargli minutaggio. Per dire: nella famosa Lu-La, lui veniva dopo. Guarda che Lu-La, però guardavamo sempre Romelu. Oggi è lui la pietra di paragone, gli altri – per primo quel Marcus Thuram arrivato quasi per caso la scorsa estate (l’Inter virò sul francese quando sfumò l’affare Scamacca) – gli girano attorno, verrebbe da dire che lo assecondano, di sicuro si offrono complementari per esaltare le sue qualità.
La contabilità della sua militanza nerazzurra lo pone tra i grandissimi bomber di tutti i tempi. 23 gol in campionato quest’anno, 26 in stagione, 128 complessivi con la maglia dell’Inter. Gol di istinto, frutto di agguati in area, gol dalla distanza, botte tremende o palombelle definitive, gol con una stoccata a chiudere azioni manovrate. Osservatelo bene: nel suo misurare la distanza tra sé e la porta Lautaro esprime la sua natura, solo all’apparenza ruvida e ostile. È sempre perfettamente sintonizzato sulle frequenze della partita, mai estraneo al gioco, anche quando si sviluppa lontano dai suoi piedi. Vive in simbiosi con il pallone. Non ha la preoccupazione di adularlo come molti sudamericani, lo rispetta e lo usa come uno strumento per il suo fine massimo. Il gol. E i gol di Lautaro arrivano come fossero naturali, eppure dietro ogni rete c'è la fatica di una conquista. Lo aiuta il fisico, resistente, duro ma agile, da biscia. È confortato da un’armonia solidissima e una intuizione irresistibile, che gli fa sentire il gol un attimo prima. È un campione a tutto tondo. A ventisei anni è nel pieno della sua maturità. Tra le due stelle dell'Inter, brilla la stella di Lautaro Martinez. E tra cinque, dieci, vent’anni; quando si tornerà a rileggere il romanzo di questo scudetto storico, inevitabilmente la copertina sarà sua. Ci sarà il suo volto da indio, quel luccichio ferino nello sguardo, la concentrazione non come posa per i fotografi ma come attitudine etica e no, non riderà nemmeno stavolta.