Un campionato vinto a febbraio
Due notti per due stelle nella clamorosa Inter numero 20
Le incredibili notti di un anno incredibile, l'impresa dei ragazzi di Inzaghi che meriterebbe il nome nel simbolo (ma lui è un piacentino saggio come Bersani), le lacrime di Capitan Lautaro, Marotta il re taumaturgo del parametro zero e Steven Zhang, il pallido principe di Nanchino
Far spuntare la seconda stella nel cielo di nubi e diluvio di un gelido febbraio, strapazzarli in casa loro, un due a quattro d’altri tempi e vincere lì lo scudetto, il numero 20, what else? Febbraio, due a quattro? Ma sì, per forza, mica è stato lunedì notte a Milano. E’ stato alla ventiquattresima giornata, all’Olimpico, sotto di due in un primo tempo in cui nella Roma sembravano tutti Capitan Futuro, e ribaltati nel secondo, mentre la Juve le buscava in casa con l’Udinese e tanti saluti ai battutisti di guardie e ladri. Sì, poi c’era il Milan e il derby in casa loro a sei giornate dalla fine, ma era una formalità, la sesta vittoria in fila, Pioli che era on fire e ora è sulla graticola; pioggia da giorno dei morti a parte, era già tutto scritto. Finito da un pezzo, il campionato bistellare della Beneamata. Da giocarlo in infradito, clima permettendo. Un finale di stagione telefonato (non telefonando, quella era tutt’altra storia), come diceva Pizzul dei tiri troppo prevedibili.
Da scrivere “Inzaghi” nel simbolo, ma lui è piacentino e saggio come Bersani e ai leaderismi non bada. Eppure quel che resterà di questa doppia stella è il marchio dell’artigiano tranquillo che ha forgiato l’impresa. Ormai il “gol da terzo a terzo” è diventato linguaggio corrente dei commentatori, il marchio di Simone Inzaghi come il tiki-taka lo fu di Guardiola. Ma tutti, anche i vecchi bauscia con la lacrima facile che ieri non hanno dimenticato Giacinto e Mariolino e Brehme, ripetono in coro, confermati da sua Autorità Paolo Condò: “Di questa Inter rimarrà nella memoria la bellezza”. Una Inter così bella non s’era mai vista. Muscolare sì, cinica spesso, quando non era femmina (Brera) e pazza. Ma bella così no. Roba strana, da anno bisesto.
“Seconda stella a destra questo è il cammino / e poi dritti fino a Nanchino” si canta però tra l’ironico e il preoccupato, anche in queste ore di festa, vedendo il pallido principe di Jiangsu mandare composti “wow” a distanza. Steven Zhang, svegliato da una diretta Instagram da Chala e Thuram (“si ricordi che le sono costato zero euro”… “è stato un errore entrare in questa diretta”) è al suo secondo scudetto, ma sempre visto da lontano. Al primo c’era il Covid, in questo i debiti e forse un nuovo prestatore, il fondo americano Pimco, che potrebbe ristrutturare un debito da 400 milioni che manco basterebbe vendere tutta la rosa costruita come un orologio svizzero da Beppe Marotta, vero re taumaturgo di questa squadra dominante a parametro zero. E’ lo strano destino di un campionato clamoroso e clamorosamente stravinto, ma così stravinto che era già vinto a febbraio a Roma, o a Verona in una notte di quasi pazzia, o con l’Atalanta nel famoso dannato asterisco. Anche senza sapere come sarà il futuro. In fondo che importa, la notte coi colori della notte era toda joia toda beleza, anche con le lacrime calde di capitan Lautaro; e per il superbonus festa dei tifosi bastavano i nervi saltati di Theo, e sfottere “se c’era Leao”, bastava la disperazione di quella musica tecno sparata a mille nello stadio per guastare i cori, bastavano Chala e Bare che hanno zittito i tifosi, sfottò sì insulti no. Del resto questa notte di pioggia ma con le stelle era già stata cantata, tanto tempo fa.