Sei Nazioni femminile
"Il rugby è conoscenza". Intervista a Beatrice Rigoni
La trequarti centro e calciatrice della Nazionale femminile di rugby ci racconta tutti i punti di questo sport. Dai i suoi 102 realizzati in Azzurro a quelli fermi, quelli forti, quelli deboli e quelli di sutura
Ne ha fatti più di 100. Più di 100 punti in 74 partite con la maglia dell’Italia. Beatrice Rigoni, 28 anni, 1,70 per 70, padovana di Abano Terme e padovana del Valsugana Rugby prima di emigrare in Inghilterra nei Sale Sharks, trequarti centro e calciatrice, caschetto giallo e ciuffo ribelle, è arrivata a quota 102. E sabato 27 aprile, al Principality Stadium di Cardiff (calcio d’inizio alle 12.15 locali, alle 13.15 italiane, in diretta su Sky Sport e in streaming in chiaro sul canale YouTube di Sky Sport) cercherà di aggiungerne altri per superare il Galles nel quinto e conclusivo turno del Sei Nazioni 2024.
Beatrice, ricorda i primi punti per l’Italia?
“Dieci anni fa, una meta segnata a Santa Maria Capua a Vetere contro la Scozia, la mia compagna Maria Grazia Cioffi che, per la gioia, mi risbatté a terra mentre mi rialzavo da terra. Finì 45-5 per noi”.
Gli ultimi punti?
“La scorsa settimana, un calcio a Parma ancora contro la Scozia. Il calcio era centrale, io me la sentivo, abbiamo deciso di piazzare. Mancavano pochi minuti alla fine, c’era ancora la voglia, sempre la speranza, anche il tempo per pareggiare. Invece abbiamo perso 17-10”.
Il suo punto di partenza?
“Padova, alla Guizza. Avevo quattro anni, credo. Vidi i miei due fratelli maggiori giocare. Ne fui folgorata. In quel preciso momento avevo già deciso che cosa avrei fatto nella vita. O forse fu il rugby a scegliere me”.
Il suo punto di arrivo?
“Forse nel rugby, forse no, chissà. La verità è che mi piace troppo giocare a rugby per pensare solo che un giorno possa smettere di farlo. Intanto me lo godo”.
Il rugby ha i suoi punti di incontro.
“Sul campo, quando più che un incontro c’è uno scontro fra un attaccante e un difensore, e l’immediatezza del sostegno è fondamentale per continuare o rovesciare il possesso del pallone. Da attaccante, cerco di evitarli, da difensore cerco di dominarli. Ma il rugby regala continui punti di incontro anche fuori dal campo. Un lungo viaggio che procura, propone, impone, offre la possibilità di incontrare persone spesso accomunate dalla stessa passione”.
Punti decisivi?
“Ogni volta che segni o aiuti a segnare, ogni volta che sblocchi un risultato, ogni volta che…”.
Punti fondamentali?
“Come spirito, divertirmi. Se mi diverto, gioco meglio, rendo di più, per me e per chi mi sta insieme e intorno. Come filosofia, impegnarmi. Se faccio una cosa, voglio farla meglio che posso, e su questo sono stata aiutata da chi ho incontrato lungo il mio percorso. La mia scelta di andare a giocare in Inghilterra aveva proprio questo obiettivo: provarmi e misurarmi nel torneo più competitivo con le giocatrici più brave”.
Il professionismo è un punto di forza?
“In Inghilterra c’è, in Italia ne siamo ancora lontani. Professionismo non significa soltanto un contratto con la Federazione per una borsa di studio – chiamiamola così - a 1500 euro al mese, ma bel altre risorse a disposizione. Un allenatore pagato per allenarti, un fisioterapista pagato per seguirti, le migliori strutture e infrastrutture dove allenarsi e prepararsi, studiare e abitare, insomma, tutto quello che ci circonda. Poi i risultati si vedono”.
Beatrice, il suo punto forte?
“La visione di gioco. E la capacità di aiutare le mie compagne a esprimersi e valorizzarsi”.
Il suo punto debole?
“Mi distraggo facilmente. Capita. Sarà che non provo alcuna ansia, che non sento pressioni, che mi sento calma anche quando sarebbe meglio che fossi un po’ agitata, così rischio di perdere la concentrazione”.
E il suo punto di vista sulla situazione in questo Sei Nazioni?
“Inghilterra e Francia sono superiori, e ci hanno battuto. Con le altre ce la saremmo giocata. Con l’Irlanda è andata bene, con la Scozia no. Colpa nostra: a questi livelli basta poco per vincere o perdere, le partite si decidono per alcuni episodi, e noi ce li siamo fatti scivolare via. E siccome di questo siamo consapevoli, la sconfitta ci ha fatto male. Abbiamo avuto una settimana per convincerci a non ripeterli contro il Galles”.
Una curiosità: punti di sutura?
“Non li ho mai contati. Diciamo… più vicini a 20 che non a cinque”.
In un punto solo, che così il rugby?
“Conoscenza”.
Il Foglio sportivo