il racconto
La festa scudetto dell'Inter. Da San Siro al Duomo, il tripudio nerazzurro per la seconda stella
Contro il Torino decide una doppietta di Çalhanoğlu, poi partono le celebrazioni. Il bus scoperto attraversa la città accompagnato da migliaia di tifosi. Tra sfottò, storiche canzoni e sciarpe nostalgiche
San Siro è vestito da festa. Sugli spalti è un tripudio di maglie a strisce nero blu, di striscioni dei gruppi storici, di sciarpe nostalgiche, di Monelle e di Boys San, più di 70mila, e ci pensa Mirko Mengozzi, il corifeo del popolo neroazzurro, il figlio della Curva Nord diventato speaker ufficiale dell’Inter, a scaldare la folla: “Ci siete interisti?”.
L’Inter di Simone Inzaghi, omaggiata dai giocatori del Torino col pasillo de honor, è in modalità vacanziera, anche se il record di punti (almeno 98, uno in più di quella di Mancini), è un obiettivo dichiarato. La squadra di Juric è pimpante e Zapata impensierisce a più riprese la difesa neroazzurra. Ma per quest’anno non ce n’è per nessuno. Da lassù, qualcuno, forse Giorgio Muggiani, l’artista futurista che scelse i colori e disegnò il primo logo della squadra fondata al ristorante “Orologio” in Piazza Duomo, il monogramma in stile liberty con le lettere “Fcim” intrecciate tra loro, ha deciso che deve andare così. O forse è stato Giacinto Facchetti a decidere. Perché, come ha scritto Luigi Garlando sulla Gazzetta, “la stella conquistata dall’Inter, in realtà, è la terza. La seconda è in cielo dal settembre 2006”.
All’intervallo, dagli altoparlanti, risuona “Figli del stelle” di Alan Sorrenti in versione disco. “Come due stelle noi, soli nella notte noi ci incontriamo”…Poi si ricomincia, passano poco più di dieci minuti, e Çalhanoğlu, la supernova, la stella più luminosa di questa Inter, decide di alzare i giri del motore: uno-due fulminante, il primo un tiro pungente da sinistra che rimbalza a terra e schizza verso l’angolino, il secondo dal dischetto. La Nord srotola uno striscione per Di Marco, che ha realizzato il suo sogno da bambino, e che applaude emozionato. Poi invoca Simone Inzaghi, il condottiero troppo criticato e ora giustamente celebrato. Che si lascia andare, e salta con tutto lo stadio. “È per la gente che, ama soltanto te, per tutti quei chilometri che ho fatto per te, Internazionale devi vincere”, cantano i tifosi interisti, mentre parte la sciarpata.
Alla fine niente musica techno a coprire la festa neroazzurra, “C’è solo l’Inter” di Elio e “Noi siamo l’Inter” di Eddy Veerus accarezzano gli ultimi attimi di festa dentro al Meazza, mentre la squadra fa il giro del campo, salutando ogni settore e sventolando la bandiera del Ventesimo. Ci si dà appuntamento fuori, perché c’è il bus scoperto, anzi ce ne sono due, per abbracciare idealmente tutta Milano, da San Siro a Pizza Duomo. Di Marco e Barella si contendono il megafono per intonare “la capolista se ne va” e “i campioni dell’Italia siamo noi”, Arnautovic è il solito mattatore, Pavard sorride come un fanciullo, Çalhanoğlu è avvolto nella bandiera turca, e Dumfries, con la bandana neroazzurra in testa, espone uno striscione per sbeffeggiare Théo Hernandez, il terzino del Milan, trasformato in pitbull e domato dallo stesso esterno olandese.
La sponda rossonera, ancora scottata dalla sconfitta di lunedì scorso, che ha consegnato scudetto e seconda stella all’Inter, si arrabbia. Ma si chiama sfottò. Punto e a capo. Alle 18, si affaccia anche il sole per vedere i caroselli neroazzurri, la gioia bambina di almeno tre generazioni di interisti, prima di lasciare spazio alle stelle e alla luna. Come scrisse Giorgio Tosatti sul Corriere dello Sport all’indomani della vittoria italiana degli Europei del ’68: “Fermati luna. Resta con noi su questo prato felice. Non c’è sonno, né case, né miseria, né lavoro per una notte”.