Veneziano per scelta
La vita lagunare di un doge calcistico. Intervista a Joel Pohjanpalo
Viaggio nella città d’acqua, insieme al primo calciatore straniero che ha deciso di farne casa. “Compro la frutta in barca, cammino da mattina a sera: quando mi ricapita?”. Dopo due anni e 40 gol, il finlandese trascina la squadra e interpreta alla perfezione un mondo che va sparendo
Su e giù per i ponti, con le borse della spesa. Dribbling secco in mezzo ai turisti. E gol: finalmente a casa, nella città d’acqua. È la routine di un veneziano qualunque. E pure quella di Joel Pohjanpalo, nuova star del calcio lagunare. “Sono arrivato qui, con la prospettiva di vivere con la mia famiglia in una realtà unica: non potevo perdere l’occasione”. Tutti i suoi compagni vivevano in terraferma. Lui invece ha scelto l’isola, tra croci e delizie. L’ha sdoganata una calle alla volta e ora c’è chi segue il suo esempio. “Sapevo che sarebbe stato diverso. Magari non facile. Ma oggi non potrei immaginare di meglio”. Per il secondo anno di fila Pohjanpalo sarà fra i capocannonieri della Serie B. La sua squadra precedente era il Bayer Leverkusen, ora fresco campione di Germania. E suo è lo storico primo gol della Finlandia agli Europei, estate 2021. Dunque cosa ci fa un giocatore del genere, alla soglia dei trent’anni, nei meandri dell’overtourism? “Vivo quel che non mi ricapiterà più”.
Da autentico veneziano acquisito, occhi di ghiaccio e chioma di platino. “Casa mia è in zona San Polo e cerco di fare la spesa nei dintorni. Almeno due-tre volte a settimana. Per la carne ho la mia macelleria di fiducia, dietro campo Santa Margherita. Per frutta e verdura vado alla barca sul ponte dei Pugni”, una bancarella fluttuante da generazioni. “Mi piace frequentare i negozi di vicinato, cercando i produttori locali”. Joel è impressionante: cita botteghe e ristoranti con la perizia di un ‘vecio di sestiere’, che sa distinguere le trappole dai posticini per bene. “Solo così si assorbe a pieno la città”. È uno sportivo provetto, in regolare alternanza casa-Taliercio – l’avveniristico centro sportivo in terraferma, dove lo incontriamo. “Ma quando ho tempo mi perdo nei miei angoli preferiti”. Tra meraviglie e rituali. “La terrazza a pelo d’acqua del Venice M’Art: la più spettacolare vista sul Canal Grande. Il culto dei cicchetti: non chiamateli tapas, vi prego (è più severo di un gondoliere, ndr). E il pranzo all’Harry’s Bar”, il leggendario locale di Arrigo Cipriani. “Ci vado ogni tre giorni prima della partita: sta portando bene, devo continuare a farlo”.
Oggi il suo Venezia è in piena corsa per tornare in Serie A. “Aver segnato tanti gol aiuta. Ma fin dal primo giorno ho percepito un calore umano incredibile, anche nei momenti più duri: è bellissimo uscire di casa, camminare per le calli e fermarsi a salutare”. Si dice che la scintilla scoccò tempo fa con ‘la birra della concordia’, bevuta dal finlandese di fronte alla curva dopo una vittoria sulla Spal. “Lì per lì non realizzai che sarebbe stato un gesto così potente. Ma lo è stato. E da allora l’alchimia fra club e pubblico continua a crescere”. Ormai è stato eletto nuovo doge. “Qualunque soprannome vogliano darmi i tifosi, a me va bene. Loro ci caricano, noi cerchiamo di restituire grandi memorie in uno stadio romantico come il Penzo: oltre lo sport, persiste un rapporto comunitario”.
Qualcosa che si forma sin dall’infanzia, sbucciandosi le ginocchia sui masegni, tirando a giro sopra le vere da pozzo fino al ‘bum’ del pallone che si insacca nell’immaginaria porta d’intonaco. “Un modo di avvicinarsi al calcio che si trova soltanto qui. Se gli spazi non ci sono, s’inventano. E nei campi i bambini giocano di continuo: corrono verso di me, mi chiedono foto e autografi. Anche stamattina, mentre andavo a far compere”. Ma a volte non sarà troppo? “Nella disgrazia dello spopolamento, penso ci sia un risvolto positivo: ho già incontrato la maggior parte degli abitanti”. Sigh. “E poi è un’interazione spontanea, piacevole”.
Allora ce lo dica lui, cosa vuol dire essere veneziani. “Amare i propri luoghi. Lo stare in laguna”. Pohjanpalo fa una pausa. Riflette. “In qualche modo l’isola non si lascia mai: può sembrare strano, per chi viene da fuori, ma è così. Si va in terraferma solo quando necessario”. Seguendo le orme di Guggenheim, Brodskij, Herrera. “C’è molto orgoglio nel diventare lagunari, camminatori, limitati dalle forme della città d’acqua: anziché un problema è una vivibilità altra, sorprendente, da abbracciare”. In tutte le sue sfumature. “Esistono piccoli segnali in codice di venezianità, come il carrello della spesa sui ponti, mentre i turisti osservano incuriositi. Magari ci prendono per matti, ma a noi piace così: è uno stile di vita che unisce”.
Ed ecco la prova del nove. “Nostra figlia”, racconta Joel. “Una vera veneziana. Dovevamo valutare se farla nascere in Germania, il paese di mia moglie. Ma per questioni logistiche era più comodo qui: a parità di servizio sanitario, tra Mestre e Venezia abbiamo scelto l’Ospedale civile di San Giovanni e Paolo”, ambulatori e reparti incastonati in un convento del Seicento. “È un’emozione speciale aver dato alla luce la nostra primogenita in laguna: l’abbiamo portata a casa in barca, un paio di settimane fa. Penelope ha già tutte le carte in regola per diventare gondoliera, se un giorno vorrà. E un cartellone sugli spalti le ha subito dato il benvenuto al Penzo: bellissima sorpresa”.
Il desiderio dell’attaccante per la squadra è scontato. “L’ultimo sprint della stagione, per realizzare il nostro sogno. Per fortuna la bambina a casa fa anche lei la sua parte: dorme regolarmente”. Quello dell’uomo per la città, invece? “Che sempre più persone trovino la via per ripopolare Venezia. Il crollo demografico è pesante: le istituzioni aiutino i cittadini a tornare e ad aggiungerne di nuovi. Lavoratori stabili, interconnessi, non più pendolari. Sento che in molti, da Mestre, vorrebbero abitare qui ma non riescono. Io stesso per trovare un appartamento ho fatto fatica. Serve maggiore equilibrio fra residenzialità e turismo: mi auguro si arrivi presto a una svolta”. Pohjanpalo è un testimonial d’eccezionale normalità. “Cosa dicono i miei amici dalla Finlandia? Sono curiosi, ma mi fanno le solite domande stupide: come ti muovi, hai il barchino, ma è vero che non ci sono le auto. Gli stereotipi che i veneziani devono sopportare ogni giorno”. Ormai si irrita pure lui. “Ancora non so se alla fine ci stabiliremo qui: dopo quasi 15 anni lontano dalla mia Finlandia, prima o poi vi farò ritorno. Ma intanto bisogna godersi il momento. E Venezia avrà sempre posto nel mio cuore”.
Già questo potrebbe essere un buon finale. Eppure Joel ci tiene a spiegare meglio. “Ho trovato luoghi incredibili nel corso della mia carriera, da Amburgo a Berlino. Ma lo dicevo anche a mia moglie di recente”, rientrando da Helsinki per la pausa nazionali. “Di solito il viaggio di ritorno, verso il club di appartenenza, è malinconico: Venezia invece è l’unica che mi dà la sensazione di essere contento di rivederla. Mi basta soltanto prendere il taxi acqueo, dall’aeroporto a casa”, attraverso il silenzio della laguna e col profilo dei campanili che va formandosi all’orizzonte. “Per qualche strana ragione mi manca sempre”. È l’estremo segreto di una città che sulla nostalgia ha costruito il suo mito. Pohjanpalo l’ha capito a fondo, da lettore e protagonista.