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Beati gli svedesi che hanno cacciato il Var dagli stadi
I tifosi alla fine amano le imperfezioni del calcio. Beati quindi quelli che possono contestare e far cambiare le regole
Raramente dal nord Europa viene qualcosa di buono, sbronze quotidiane e suicidi degli abitanti locali a parte, ma questa volta alzo con piacere la pinta al cielo per la Svezia. Nel paese che ha il merito di averci regalato Ibrahimovic e la colpa di non avere tenuto in classe Greta Thunberg, il Var è stato bandito. Non sono i fumi dell’alcol a confondermi, è proprio così: niente Var in campionato dopo che i club hanno espresso la loro opposizione alla tecnologia, ha detto qualche giorno fa il presidente della Federcalcio svedese Fredrik Reinfeldt. “Vado ad allenare lì l’anno prossimo”, ha scherzato l’allenatore del Tottenham Ange Postecoglou. In Svezia funziona più o meno come in Germania, per legge i club di calcio sono controllati al 50 per cento +1 dai tifosi. E i tifosi, si sa, capiscono di calcio molto più dei burocrati parrucconi che hanno il problema di vendere un prodotto alle televisioni del terzo mondo. “Il Var è il simbolo del calcio moderno, commercializzato fino al punto di distruzione”, ha detto Ola Thews, vicepresidente della più grande organizzazione di tifosi dell’AIK, ASK. Il Var è il coito interrotto del calcio, “rovina l’euforia”, annienta “l’assoluta felicità e passione, o dolore e tristezza, che derivano da un gol subito o da un gol segnato se non sei sicuro di cosa sia successo finché non è stato rivisto e deciso in una stanza”. Parole sante di Thews, mio filosofo di riferimento dopo che ha risposto così a Martin Ingvarsson, il capo degli arbitri svedesi, il quale ha detto che in ciascuna delle ultime due stagioni del campionato svedese il Var avrebbe corretto almeno 41 decisioni sbagliate prese dai direttori di gara. E chissenfotte, ha detto Ola, “penso che qualsiasi cosa a cui partecipano gli esseri umani reali sia imperfetta. È proprio questo il bello”.
Qui da noi in Premier League il Var ha rotto le palle già fin dal primo giorno: errori marchiani ingigantiti dalla tecnologia, tempi di recupero imbarazzanti, attese eterne per la decisione dell’arbitro, voglia di rifugiarsi a fumare in balcone con una bionda gelata per non assistere allo scempio di quello che era lo sport più bello del mondo. Secondo Sky Sports prima dell’adozione del Var l’82 per cento delle decisioni arbitrali erano ritenute “corrette” dalla Premier League. Dalla sua introduzione, invece, le decisioni corrette sarebbero il 96 per cento, dicono quelli che il Var lo hanno introdotto. E se anche fosse? I tifosi, senza i quali il calcio sarebbe una gara di autoerotismo tra uomini muscolosi, lo hanno capito, e là dove possono si organizzano per boicottarlo. E a proposito di boicottaggi, vedo che il Cio cerca di rovinare il poco di buono che è rimasto nell’atletica finanziando uno studio per dimostrare che le atlete transgender sarebbero fisicamente svantaggiate rispetto alle femmine biologiche, e quindi la scelta di vietare ai trans di competere nelle categorie femminili sarebbe “inutile e ingiustificata”. La ricerca pare sia stata fatta su un campione di persone a caso meno numeroso dei tifosi del Sassuolo, e quindi abbia la stessa scientificità di un’opinione di Riotta sullo scudetto dell’Inter. Ma l’obiettivo è chiaro, e prima o poi sarà raggiunto. Quello sarà il giorno in cui prenderò un razzo interplanetario per andare lo so io dove.
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