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Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Kotov e quell'eroica follia contro Sinner

Alessandro Bonan

In uno sport estremo come il tennis, almeno per il modo definitivo con cui si colpisce una palla, la pazzia è all’ordine del gioco. Le storie di Michael Chang e Ivan Lendl e quella più recente del Madrid Open

Qual è la migliore risposta alla follia quando tutti dicono che sei pazzo? Non puoi difenderti se davvero lo sei, perché non riconosci l’accusa. Ma la domanda è ovviamente sbagliata, anzi inutile, in quanto non esiste la pazzia se non c’è dolo per il prossimo. Tutti siamo pazzi, tutti siamo sani. In uno sport estremo come il tennis, e per estremo intendo il modo definitivo con cui si colpisce una palla, la pazzia è all’ordine del gioco, ben mimetizzata dentro una sostanziale ripetitività, e sostiene lo scambio, lo rende fuoco e acqua, terra e aria. 

Molto tempo fa un piccolo ragazzo di origine taiwanese, nato però in America, Michael Chang, dipinse la sua prestazione di tutti i colori della psicologia pur di sconfiggere il codificato Ivan Lendl, campione invincibile in quel momento, anno 1989. Si mise a mangiare banane tra un cambio di campo e l’altro, sottoponendo il suo avversario a una cottura lenta sotto il sole. Voleva far intendere, l’americano, di avere i crampi (probabilmente li aveva per davvero), tanto da giocare con una gamba completamente irrigidita, tirando pallonetti oltre le nuvole, così infiniti da destabilizzare completamente il ceco, incapace di colpire quelle gocce senza peso piovute dal cielo. 

La partita, da semplice formalità (Lendl aveva vinto facilmente i primi due set) si trasformò ben presto in un romanzo. Più Chang sembrava sul punto di morire e più resuscitava rimontando, senza che Lendl, tennista truce come il suo sguardo, riuscisse a trovare un rimedio alla prospettiva della disfatta. Il culmine di quella storia si spaccò in due momenti. Il primo quando Chang, al servizio sul 4-3 in suo favore nel quinto set, batté dal basso, come si dice, facendo abboccare Lendl vicino alla rete, come se fosse un pesce all’amo, trafiggendolo poi con l’ago di un passante. E successivamente sul primo dei due match point in suo favore, quando, sulla seconda palla dell’avversario, il “genio di Taiwan” salì vicino alla riga del servizio. Lendl prima protestò in modo assurdo, “non si può” gridò, poi sbagliò come un pollastro consegnando il match al giovane Michael. 
Chi fu più pazzo in quella partita, Chang o il suo nevrotico opposto?

Ho pensato a questo precedente qui riassunto (senza annoiarvi, spero), quando ho visto il russo Kotov fare più o meno la stessa cosa a Sinner, qualche giorno fa a Madrid. Sul punto di portare il campione italiano al tie break, ha servito la palla “da sotto” senza calcolare che Sinner, al contrario di Lendl, non è il tipo da farsi suggestionare. E infatti il nostro ha risposto sulla riga, conquistando il punto e di lì a poco la partita. Fischiato dal popolo di Madrid, Kotov si è messo a ridere, mentre io, avverso al popolo, ho provato una grande simpatia per lui, il lunatico perdente. Un uomo che si rallegra della sua follia, soprattutto quando questa lo porta alla sconfitta, per i miei occhi insicuri non sarà mai un pazzo, semmai un eroe, un timido selvaggio senza frontiera, quasi un artista che dentro un gesto senza senso ritrova con sommo paradosso il germe di una piccola saggezza.

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