Gianni Rodari (Wikimedia Commons)

Scrittori in Giro

Tutto il ciclismo di Gianni Rodari

Marco Pastonesi

Lo scrittore volava e faceva sognare, esplorava e faceva esplorare anche con le bici, il ciclismo, il Giro d’Italia 

“Poi inventarono delle biciclette con la ruota davanti così alta che il Giro d’Italia si faceva così: al via i corridori scattavano e quello che arrivava per primo in cima alla bicicletta aveva vinto la corsa”.

Gianni Rodari, in “Perché la bicicletta va avanti”, da “Il libro dei perché” (Einaudi). Era lui, il primo a giocare e sfrecciare. Era lui, il primo a rovesciare il mondo e cambiare i punti di vista. Era lui, il primo a pedalare indietro e in alto. Era lui, il primo a stare dalla parte dei bambini e delle bambine. Era lui, il primo a trasformare le parole in filastrocche, i libri in canarini o rondini, le pagine in ali. Perché era lui, il primo a rendere la vita così leggera, aeronautica, a pedali.

Omegna, 1920, e Roma, 1980. Supplente, poi maestro, poi giornalista, poi scrittore. Intanto, la guerra, il Partito comunista, il matrimonio, l’editoria. E i libri per i bambini, oggi capisaldi di una letteratura che non conosce confini nel tempo e nello spazio, nelle età e nelle classifiche: la lista è gigantesca. Fra le sue ispirazioni, anche la bici, il ciclismo, il Giro d’Italia. La sua “Filastrocca del gregario” (da “Filastrocche in cielo e in terra”, Einaudi) è un elogio, di più, un inno, di più, un peana, insuperabile: 

Filastrocca del gregario
corridore proletario,
che ai campioni di mestiere
deve far da cameriere,
e sul piatto, senza gloria,
serve loro la vittoria.
Al traguardo, quando arriva,
non ha applausi, non evviva.
Col salario che si piglia
fa campare la famiglia
e da vecchio poi acquista
un negozio da ciclista
o un baretto, anche più spesso,
con la macchina per l’espresso
”.

Vero: i gregari, un popolo di futuri meccanici oppure di baristi, gelatai, panettieri. Rodari stava dalla parte dei gregari, e non dei capitani, letterariamente e anche politicamente. E chi più lento, chi più stanco, chi più gregario di una tartaruga? E allora ecco “La corsa delle tartarughe” (Emme Edizioni), così breve da leggere tutta e subito: “Le tartarughe vedevano sempre il Giro d’Italia e alla fine venne anche a loro la voglia di correre in bicicletta. Difatti comperarono delle biciclette, con molti sforzi impararono a suonare il campanello e a montare in sella e, quanto a pedalare, ci misero un po’ di più, ma alla fine ci riuscirono. Figuratevi che festa, il giorno della partenza! Una dozzina di tartarughe - scelte per partecipare alla corsa - si erano fatte dipingere la corazza a strisce di tutti i colori, col numero e la marca della bicicletta: Bianchetti, Legnetti e più ne hai più ne metti. Tutte le altre tartarughe si distesero lungo il percorso, per fare il tifo. Una tartaruga più grossa delle altre fece la parte dell’automobile della giuria, e sulla sua schiena presero posto i giudici e i giornalisti con gli occhiali neri. Fu dato il segnale della partenza e i corridori cominciarono a correre, il più piano possibile per non stancarsi. L’automobile della giuria però non poté partire, perché la tartaruga autista si era bell’e addormentata. I giurati, troppo pigri per seguire la corsa con le loro gambe, la imitarono mettendosi ben presto a russare. I corridori, fatti pochi passi, si dispersero nel bosco a cercare qualche mucchietto di foglie secche per riposare. Il pubblico, non vedendo arrivare la corsa, si stancò di aspettare e si addormentò. Per farla breve, dieci minuti dopo il segnale di partenza dormivano tutti quanti. E non si seppe mai chi avesse vinto la corsa, perché al traguardo non arrivò nessuno. Povere tartarughe! Ma non somigliano a quei bambini che dicono ‘Farò questo, farò quello’, e poi se ne dimenticano per la strada?”.

Rodari sognava a faceva sognare, volava e faceva sognare, esplorava e faceva esplorare. Anche in una di queste “Filastrocche in cielo e in terra” (Einaudi): 

“Io vorrei che nella Luna
ci si andasse in bicicletta
per vedere se anche lassù
chi va piano non va in fretta”.

Chi va piano non va in fretta: come dire, una lenta velocità, una veloce lentezza. Non quella di un fattorino in bicicletta da “Accento sulla A” (anche questa da “Filastrocche in cielo e in terra”, Einaudi). 

“O fattorino in bicicletta
dove corri con tanta fretta?”
“Corro a portare una lettera espresso
arrivata proprio adesso”.
“O fattorino, corri diritto,
nell’espresso cosa c’è scritto?”
“C’è scritto – Mamma non stare in pena
se non rientro per cena,
in prigione mi hanno messo
perché sui muri ho scritto col gesso”.

Gregari e fattorini sanno come pedalare, ragazzini e bambini no, non sempre. Così capita anche di scivolare e cadere. Come per Rinaldo, da “Tante storie per giocare” (Editori Riuniti): “Un giorno Rinaldo cadde dalla bicicletta e tornò a casa con un grosso bernoccolo sulla fronte. La zia con cui viveva (i genitori erano emigrati in Germania in cerca di lavoro) si spaventò moltissimo. Era giusto una di quelle zie che si spaventano di tutto”. Ma successe che, dopo quella caduta e quel bernoccolo, appena Rinaldo pronunciava una parola, quella parola si materializzava. Bicicletta? Una, poi due, poi tre, infine 12. La zia prima si sorprese, poi si stupì, infine s’impaurì. “Basta, non ne posso più”. Una storia di fantasmi?

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