Il Foglio sportivo
Perché Conte piace di più ai tifosi che alle società
L’ex tecnico azzurro ha vinto dovunque, ma costa caro, lascia eredità pesanti e i club quasi lo temono
La Bella di Torriglia è una figura leggendaria protagonista della nota filastrocca che si conclude con la frase tutti la vogliono, ma nessuno se la piglia. Questo detto popolare può essere facilmente trasportato nel mondo del calciomercato, in particolare di quello che riguarda gli allenatori. Sì perché, fra tecnici che annunciano l’addio per poi tornare sui loro passi (Xavi al Barcellona); altri che rifiutano proposte apparentemente allettanti (Ralf Rangnick ha preferito rimanere alla guida della Nazionale austriaca piuttosto che avere a che fare col Bayern Monaco); altri ancora che, sicuri (o quasi) di aver trovato una panchina, se la vedono sfilare a causa delle proteste dei tifosi (Julen Lopetegui), il mercato delle panchine dell’estate 2024 si appresta a essere uno dei più movimentati di sempre.
In tutto questo bailamme di nomi, la figura della Bella di Torriglia, almeno in questo momento, è ricoperta da Antonio Conte: tutti (i tifosi di molte squadre) lo vogliono, ma per ora nessuno (leggasi società) se lo piglia.
La domanda è: perché? Cerchiamo di analizzare i fatti. Conte è un tecnico vincente, come dimostrano i successi ottenuti in carriera: tre scudetti alla guida della Juventus (2012, 2013 e 2014) più due Supercoppe italiane (2012 e 2013); un altro titolo conquistato con l’Inter (2021); una Premier (2017) e una coppa d’Inghilterra (2018) vinte col Chelsea.
Un palmares di tutto rispetto, che rende il nome del tecnico leccese praticamente sinonimo di vittoria. È quindi più che logico che i tifosi di ogni squadra, sognino di vedere il cinquantaquattrenne salentino alla guida del loro club.
A questo punto della sua carriera però Conte porta con sé anche delle perplessità che, almeno finora, non sono state superate da chi poteva essere potenzialmente interessato al suo ingaggio.
La prima di queste perplessità è legata agli aspetti economici di un eventuale accordo. Conte costa tanto. Durante la sua ultima esperienza in panchina, con il Tottenham, secondo quanto riportato dalla stampa britannica lo stipendio del tecnico italiano era di oltre 17 milioni di euro netti a stagione. Tutto questo senza contare il nutrito staff di cui Conte, come ogni allenatore di alto livello, si circonda. Sono cifre che non molti sono in grado di poter sostenere.
Un altro aspetto da tenere in considerazione ingaggiando Conte è quello legato alla progettualità. La media di permanenza di Conte su una panchina in carriera è di poco superiore a una stagione. Le ultime esperienze (con Chelsea, Inter e Tottenham) sono durate circa due anni ciascuna. In generale, un ciclo con Conte in panchina sembra seguire un itinerario ben preciso: l’allenatore arriva; fa fare un mercato faraonico, comprando per lo più giocatori già pronti ma in avanti con gli anni e con contratti onerosi; vince qualcosa; rompe i rapporti con la squadra, la dirigenza o tutto l’ambiente; se ne va.
Un esempio lampante di questo è stato fornito dalla sua ultima esperienza in panchina col Tottenham, quando, poco prima di essere esonerato, esplose dopo un pareggio per 3-3 contro il Southampton puntando il dito contro la mancanza di cultura vincente degli Spurs e la mentalità dei calciatori a disposizione, sottolineando inoltre come il proprietario del club inglese (Daniel Levy) non avesse alzato al cielo un trofeo in vent’anni di presidenza.È chiaro che una dirigenza, nel 2024, ci pensa bene prima di affidarsi a un allenatore sì vincente, ma con il quale sembra difficile costruire un progetto a medio, lungo termine e che, una volta andato via, lascia dietro di sé delle macerie, vale a dire appunto contratti onerosi con elementi a volte difficili da rivendere sul mercato.
Insomma, operazioni come quella che, nell’estate del 2020, portò Arturo Vidal all’Inter, una società oggi ci pensa bene prima di avallarla.
C’è poi da considerare l’aspetto caratteriale. Conte è un tecnico che dà il cento per cento e che pretende lo stesso da chi lavora con lui, a partire dalla squadra. In un calcio congestionato dagli impegni (e che lo sarà ancora di più l’anno prossimo, con la nuova formula della Champions) è difficile pretendere sempre il massimo dal proprio gruppo, ogni giorno e in ogni seduta di allenamento.
Questo tipo di approccio ha spesso portato in passato a veder logorati i rapporti fra Conte e le formazioni dove ha allenato. In questo senso non è sbagliato suggerire un paragone fra Conte e Arrigo Sacchi, un altro tecnico perfezionista che pretendeva sempre il massimo dai suoi giocatori, col risultato di ottenere grandi traguardi ma anche di consumare velocemente, come una candela, i rapporti con alcuni di loro.
Infine, il lato tecnico. Il gioco altamente meccanizzato di Conte è in controtendenza all’estrema fluidità che richiede attualmente il calcio moderno ad alti livelli.
Il modello Conte migliora i giocatori (basta vedere l’effetto positivo avuto dal tecnico salentino su molti dei calciatori avuti all’Inter o su Dejan Kulusevski o Rodrigo Bentancur, considerati acquisti sbagliati alla Juventus e poi diventati uomini importanti con Conte al Tottenham) ma presenta dei limiti che finora si sono sempre evidenziati nelle coppe europee.
In questa stagione di riposo dopo l’esonero col Tottenham Conte avrà avuto modo di rivedere alcuni dei principi di gioco del 3-5-2 che lo ha sempre caratterizzato nelle ultime annate? O sarà rimasto ancorato ad un modello che sembra superato?
Come si vede, società di proprietà di fondi (che prediligono investire su profili giovani e dunque futuribili, con contratti accettabili) o altri con risorse limitate hanno molto su cui riflettere prima di scegliere di affidarsi a Conte. E questo spiega l’impasse registrato ad oggi intorno al nome dell’ex tecnico di Juventus, Chelsea e Inter.
I tifosi dunque premono per il suo ingaggio (basta chiedere ai milanisti, che oppongono il nome di Conte a quello di qualsiasi altro tecnico ventilato nelle ultime settimane come possibile successore di Stefano Pioli alla guida dei rossoneri) ma molti club hanno paura di ritrovarsi in casa un José Mourinho 2.0, vale dire un allenatore in qualche modo vittima della fama di vincente che lo precede (e quindi costretto a ripetersi) ma portatore di un calcio non più adeguato. A Conte (e al club che eventualmente si metterà alle spalle questi dubbi) il compito di smontare questa percezione.