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Perché è meglio dimenticare l'insulto alla Juve della ragazzina al Franchi

Andrea Trapani

Durante Fiorentina-Monza le telecamere hanno inquadrato una bimba rivolgere un'offesa ai bianconeri. Le conseguenze a lungo termine della proliferazione sui social del video

Chissà se chi ha pensato lo spezzatino dell’ultima giornata di Serie A avrebbe mai immaginato che il posticipo del lunedì sarebbe diventato virale. Non si tratta del risultato sportivo, la Fiorentina ha battuto in rimonta il Monza in una gara con in palio l’ottavo posto, ma di un evento di colore che è nato per regalare spensieratezza all’entrata in campo dei giocatori.

Parliamo di una tradizione, ormai radicata a ogni latitudine, per cui i ventidue giocatori delle due squadre vengono accompagnati da una pletora di bambini in mezzo al campo. Ogni club ha la propria struttura organizzativa e segue specifici criteri; spesso, se non sempre, si tratta di iniziative sponsorizzate. A volte, queste attività promuovono i diritti dell'infanzia o il fairplay tanto che di solito i giocatori della squadra di casa vengono accompagnati da bambini che indossano la divisa della squadra avversaria, e viceversa. Questa esperienza, a quell’età, è un sogno che si avvera per ogni giovane tifoso, un momento memorabile da condividere a scuola e di cui discutere con gli amici per ore. Ecco, ieri forse perfino troppo.

 

Quell’inquadratura di troppo

Al Franchi, nella consueta inquadratura del prepartita, l’ultimo zoom si sofferma su una bambina che scandisce, con un labiale abbastanza plateale, la più classica delle frasi della rivalità calcistica tra Fiorentina e Juventus, pronunciando così in diretta tv un’offesa che richieggia perfino tra gli adulti in momenti assai più seri, tipo durante le sedute del Parlamento europeo o nelle commissioni dell’antimafia. Certo, i bambini che scendono in campo ricevono istruzioni e sanno cosa non devono fare, però quella è un’età dove i condizionamenti sono forti e non controllabili. Non è una giustificazione ma parlarne a freddo è facile: tutti sono consapevoli della sciocchezza, anzi della bischerata, meno delle conseguenze.

Qui non c’entra l’insulto più o meno spontaneo ma quello che fanno gli adulti. Un video del genere, estrapolato al volo da siti e pagine Facebook, fa il giro delle chat e dei social in meno che non si dica. Quel labiale è ovunque tra plausi e offese, entrambe fuori luogo, come gli adulti che ne sono protagonisti. Già, i grandi. Quasi nessuno ha riflettuto su cosa fare, la dopamina dei like probabilmente obnubila il raziocinio.

"Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti", profetizzava Andy Warhol. Quel che non sapeva è che quella popolarità altrui, nella nuova società multimediale, sarebbe diventata l’occasione di avere 5 minuti di visibilità anche per chi commenta il fatto del giorno, come è successo appena quel video è diventato virale. Nel corso della notte la rete è diventa un profluvio di giudizi sull’educazione dei ragazzi e perfino trattati sociologici sulla società moderna senza che nessuno (o quasi) avesse pensato di pixellare la giovanissima protagonista.

 

Oblio per combattere la “damnatio memoriae” dei social network

Non è moralismo, non è nemmeno (solo) giornalismo, ammesso e non concesso che tutta la vicenda sia potenzialmente di grande interesse generale. Quando si usa un un minore lo si dovrebbe fare senza rivelarne l’identità, o almeno renderlo non identificabile, anche perché la rete non dimentica niente. In questo caso parliamo di una bambina dentro una storia più grande della sua età, e non serve a niente trasformarla nell’eroina degli antijuventini o nel bersaglio di chi prende troppo sul serio i propri pensieri. Internet sconnette il messaggio dal suo contesto, lo decontestualizza e, una volta diventato un post per Facebook o X, diventa una nuova realtà che ignora che stiamo parlando di ragazzi ancora non adolescenti.

Se la regia della Serie A non poteva immaginare cosa stava per succedere, chi l’ha ricondivisa su testate giornalistiche o account vari invece sapeva bene cosa ha fatto per sfruttare l’onda lunga di quel quarto d’ora di notorietà. È mancata la consapevolezza che un meme può diventare qualcosa di più di una gif divertente, per alcuni può essere una sorta di stigma moderno da cui è quasi impossibile tornare indietro. La colpa è di tutti noi visto che l’attuale dibattito pubblico è sempre più plasmato da meta-linguaggi ironici, a cavallo tra battutismo e account che scherzano su ogni cosa. Finire improvvisamente dentro il nuovo linguaggio dei media e dei social non è come sceneggiare una serie tv di grande successo come “Boris”, che ha creato una delle battute più note sui toscani.

Insomma, quella bambina merita l’oblio e non questa attenzione spasmodica per un momento che, fino a qualche anno fa, sarebbe rimasto solo tra gli amici e i compagni di scuola senza la “damnatio memoriae” dei social network.

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