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Una finale di Coppa Italia tra opposti: Atalanta e Juventus

Andrea Romano

Bianconeri e nerazzurri sono talmente tanto diversi da apparire non opposti, ma addirittura escludenti. E alla partita che assegna il trofeo arrivano da percorsi diversissimi

Difficile trovare due entità più divergenti. Perché la Juventus e l’Atalanta che stasera si giocano la Coppa Italia sono due club che non si assomigliano in nulla. Né in pensieri, né in parole, né in opere, né tantomeno in omissioni. Anzi, bianconeri e nerazzurri sono talmente tanto diversi da apparire non opposti, ma addirittura escludenti. Una fresca, l’altra paludata. Una futuribile, l’altra da rifondare. Una capace di avanzare a folate, come soffiata dal vento, l’altra pesante, compassata. Segnali che diventano ancora più netti se si prova a raccordare il presente con il passato, se si cerca di trovare un filo di continuità fra l’oggi e il blasone che è stato fino a qualche tempo fa.

In questo 2024 la Juventus ha smesso di correre e ha iniziato a trascinarsi. Stancamente. Tristemente. Una partita vinta nelle ultime dieci disputate in campionato. Per un totale di dieci punticini striminziti. Vale a dire tre più dell’Empoli. Uno in più di Frosinone e del Sassuolo. Con un piccolo dettaglio: sono tutte squadre che lottano per non finire in un purgatorio chiamato Serie B, non certo per ascendere ai cieli dorati della Champions League. L’emorragia di talento è ormai palese. Squalifiche (collettive e individuali), abbagli di mercato, raggiunti limiti di età, rebus tattici hanno fatto apparire più di qualche ruga sul viso della Signora. Lì dove soltanto cinque anni fa c’erano Cristiano Ronaldo, Higuain, Dybala, Mandzukic, Bernardeschi e Douglas Costa ora ci sono Chiesa, Vlahovic, Kean, Milik e Yidliz. La Juventus progettata per dominare in Italia e vincere l’Europa, per infrangere quel tabù chiamato Coppa dei Campioni, non esiste più. L’ultima campagna acquisti lo ha dimostrato. L’esclusione dall’Europa e la penalizzazione in campionato hanno inaugurato una fase di austerity. Si compra poco. Si compra a poco. L’opulenza sul mercato è poco più di un ricordo. In estate sono arrivati Cambiaso e Weah e sono tornati McKennie e Nicolussi Caviglia. E l’unico ad aver dato veramente qualcosa alla squadra di Allegri è stato proprio l’ex Bologna. Così la Juventus che pescava i grandi campioni dalle rivali si è affidata ai giovani. Più per necessità che per convinzione. Esattamente la parabola contraria all’Atalanta. O almeno così si va ripetendo. In verità le rose di bianconeri e nerazzurri hanno la stessa identica età media (26.7 anni). Quello che cambia è la gestione delle risorse. Con la metà dei soldi che la Juventus ha speso negli ultimi sei anni per comprare Ronaldo, De Ligt e Higuain, la Dea ha preso Scamacca, El Bilal Touré, Hien, Ederson, Lookman, Musso, Zappacosta, Pasalic e Koopmeiners. Più un’infinità di giocatori acquistati a poco e venduti a tanto. A volte a tantissimo. Tutti calciatori che non avranno portato a Bergamo uno scudetto, ma che sono stati importanti per costruire un progetto a lungo termine che ancora non si è concluso. Anche per questo la Coppa Italia di stasera ha un significato diverso per i due club. Per la Juventus è un salvagente, l’ultima possibilità per non chiudere amaramente una stagione in cui fino a gennaio aveva pensato di poter competere con l’Inter per lo scudetto. Per l’Atalanta è un antipasto, ma potrebbe diventare addirittura l’incipit di una storia straordinaria da scrivere contro il Bayer. «Per tutti noi potrebbe essere l’ultima finale» ha detto ieri Allegri. È una frase spietata. Ma soprattutto vera. Perché la sfida dell’Olimpico può essere una sentenza. Ma soltanto per la Juventus. Perché comunque vada a finire l’anno prossimo la Signora dovrà cambiare. E anche parecchio. Mentre l’unico rischio che corre l’Atalanta è di avere un rimpianto da cullare. 

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