non solo calcio
Juve-Atalanta è stata anche la prima finale di Coppa Italia "sostenibile"
Oltre agli sfoghi di Allegri, la partita allo Stadio Olimpico verrà ricordata anche per il successo del progetto "Road to Zero" che punta a ridurre l'impatto ambientale di questi grandi eventi
La quindicesima Coppa Italia della Juve, la quinta personale di Allegri, passerà alla storia per esser stata riempita dalla rabbia furiosa dell’allenatore bianconero prima ancora che dalla gioia di un ritorno al successo dopo anni di inferno più che di purgatorio. Ma è stata anche una finale di Coppa Italia destinata a restare nella storia del calcio italiano come la prima partita sostenibile. Non lo è stata per la giacca di Allegri e chi ci si è trovato sulla sua strada, ma grazie anche alla collaborazione con l’Uefa, lo è stata per tutto il resto grazie a una riduzione del relativo impatto Ambientale con effetti positivi in termini Sociali e di Governance. Il progetto Road to Zero è partito da lontano e ha coinvolto tutti: giocatori, staff, sponsor, organizzatori e naturalmente spettatori, almeno quelli che non si sono presi a botte in autostrada.
Le squadre hanno raggiunto Roma in treno (d’altra parte lo sponsor era Frecciarossa, non si poteva non tenerne conto), gli spettatori che hanno deciso di raggiungere l’Olimpico in bicicletta e sfruttando il car sharing hanno trovato delle aree attrezzate (e sorvegliate) a loro disposizione, chi ha scelto i mezzi pubblici ha potuto viaggiare gratuitamente. I dati raccolti in un rapporto promosso dall’Ue raccontano che il 40% dell’inquinamento ambientale prodotto dal calcio è dovuto alla mobilità dei tifosi, il 35% dell'energia elettrica e il 15% dal cibo e dalle bevande consumate da coloro che seguono la squadra. Si è così tenuto conto della mobilità, ma anche dei consumi allo stadio: bandita la plastica dalle confezioni di cibi e bevande, sono comparsi nuovi rubinetti di acqua potabile, distribuiti bicchieri di carta e previsto il recupero delle eccedenze alimentari in collaborazione con le associazioni.
“Quello dell'ambiente è un interesse pubblico diffuso - ha dichiarato il presidente Casini - per compensare l'inquinamento prodotto da una partita di calcio con 50-60 mila spettatori che produce da sola lo stesso inquinamento di un automobile che fa 40 volte Roma-Hong Kong andata e ritorno, serve l’attività di 2500 alberi per un anno intero”. Il progetto, ideato e coordinato dal direttore di Green&Blue Riccardo Luna, è stato realizzato con la collaborazione di Cristiana Pace, ingegnere e strategic advisor Environmental Social e Governance ESG in Sport, che dopo aver passato più di una ventina di anni in Formula 1 ad occuparsi di sicurezza ha cominciato a lavorare sugli stadi. Ma oltre all’ambiente si è guardato anche al sociale: per la prima volta in Italia è stata realizzata anche una “quiet room” per i bambini affetti da disagi dello spettro autistico al terzo piano della Tribuna Monte Mario con impianti di insonorizzazione e a bassa illuminazione.
L’obiettivo che si è dato l’Uefa è di dimezzare le emissioni di CO2. “Non una partita a impatto zero, ma un evento che può diventare un modello per il futuro”, ha spiegato Michele Uva, alla guida della divisione Social & Environmental Sustainability, l’organo di governo del calcio europeo di cui è presidente. Il primo passo di un percorso virtuoso che il nostro calcio, tra una lite e l’altra, è riuscito a fare mettendo d’accordo tutti e con la collaborazione di Sport e salute e del Comune di Roma. Ora servirebbe replicare. Fermarsi qui non avrebbe senso.
Il Foglio sportivo - In corpore sano