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Il Foglio sportivo

L'Atalanta non deve pensare alle finali perse

Marco Gaetani

Dalla finale di Coppa Italia (persa) a quella di Europa League contro il Bayer Leverkusen

Il cielo d’Irlanda sarà anche un tappeto che corre veloce, ma sull’Atalanta di Gian Piero Gasperini incomberà in maniera opprimente, con il rischio di mozzarle il fiato. A Dublino, mercoledì sera, i nerazzurri non dovranno sfidare tanto il Bayer Leverkusen, quanto un avversario più subdolo, scivoloso, invisibile: la paura. La paura di sbagliare anche stavolta, di arrendersi all’ultimo atto, di rimanere nella storia del nostro calcio come quelli belli e perdenti. Termine sgradevole, perdenti: diciamo piuttosto, nel malaugurato caso, non vincenti. Perché il cammino dell’Atalanta in questi anni non può certo ridursi a un trofeo alzato oppure no, a una conclusione che potrebbe entrare e invece finisce fuori di un soffio. Ma l’ingiuria, come la calunnia, è un venticello: si fa strada sottile, insensibile, eppure sussurra.
L’Atalanta avrà dunque il compito di non sentirle, queste maledette malelingue, e continuare sulla strada intrapresa in uno dei cicli tecnici più lunghi e di successo che la Serie A abbia conosciuto in questi decenni. Dovrà provare a non pensare a ciò che è stato all’Olimpico, una finale che nel giro di quattro minuti si è messa su un binario che pareva disegnato dalla mano mefistofelica di Massimiliano Allegri: un’azione costruita benissimo, andando a far male lì dove i nerazzurri sono storicamente più esposti, e conclusa ancora meglio da Vlahovic, bravissimo nel reggere l’uno contro uno con Hien e a battere Carnesecchi. Da quel momento in poi, l’Atalanta ha dovuto fare i conti con una partita che non voleva giocare: brutta, sporca, alla ricerca di spazi inesistenti e introvabili, resa ancora più complessa dall’assenza di Scamacca, ideale destinatario di quella pioggia di cross che ha visto giganteggiare Gatti, Bremer e Danilo.

Il Bayer Leverkusen è senza alcun dubbio un avversario antipatico da affrontare anche se, per paradosso, potrebbe rappresentare un abbinamento migliore rispetto a una Juventus che si è riscoperta granitica nella notte dell’Olimpico: la squadra di Xabi Alonso gioca ma fa giocare e potrebbe esporsi alle ripartenze dei nerazzurri, accettando l’uno contro uno proprio come fanno i ragazzi di Gasperini. Bisognerà capire cosa frullerà nella testa dei protagonisti della Dea, se il rammarico per la finale di Coppa Italia sfumato sarà più forte della concentrazione o se diventerà benzina in grado di accendere un fuoco che quest’anno ha saputo divampare anche in scenari imprevisti, citofonare Liverpool per ulteriori chiarimenti.
A far immaginare che nella sfida dell’Olimpico ci fosse un disegno nefasto è stata anche l’uscita di scena di Marten de Roon, l’alleato più fidato di Gasperini, l’estensione in campo del pensiero dell’uomo di Grugliasco: le mani sul volto, le lacrime a preannunciare l’epilogo, un malessere da fine del mondo. Gasp, prima di tutti, ha capito l’atteggiamento da tenere: “Non usciamo sminuiti da questa partita, la squadra ha dato tutto. Stiamo giocando tutte finali, questa è andata così e l’accettiamo”. Ha iniziato a preparare Dublino nella pancia dell’Olimpico, ostentando un sorriso di circostanza eppure rassicurante, nella speranza che non finisca anche stavolta come tutte le altre. E che il cielo d’Irlanda si muova, finalmente, con la Dea.